I Salesiani hanno impiegato lunghi anni prima di dare vita alla loro presenza in Emilia-Romagna. Per certi aspetti era stato meno difficile iniziare l’attività missionaria in America Latina che penetrare in Romagna e in Emilia. Poiché Don Bosco non intraprendeva mai un’opera senza avere la fondata speranza che la nuova impresa avrebbe posto radici durature, preferì avviare varie opere, richieste dai tempi e dalle urgenze sociali e religiose, radicandole all’inizio in una base modesta, ma solida, per lasciare poi che le opere crescessero da sole con l’aiuto della popolazione.
Per cause psicologiche e politiche (liberalismo, socialismo, laicismo) i figli di don Bosco, i Salesiani, dovettero contrapporsi a forze ostili, ma riuscirono a superare gli ostacoli, anzi furono in grado di modificare il difficile quadro ambientale, svolgendo un ruolo non solo di promozione umana, ma anche di pacificazione concreta nella popolazione, dopo le ferite del periodo risorgimentale.
Le prime fondazioni salesiane in Emilia Romagna, avvennero ancora vivo don Bosco (1815-1888), e furono quelle di Faenza nel 1881 e di Parma nel 1888, dove riscossero consenso e simpatia.
In seguito la conoscenza dei Salesiani aumentò per merito del 1° Congresso Internazionale dei Cooperatori Salesiani organizzato nel 1895 a Bologna; un Congresso che si proponeva di risvegliare l’impegno sociale dei cattolici, di favorirne la promozione e di incoraggiare la formazione di una nuova e diversa generazione di cattolici, superando il trauma dell’unità nazionale, vero scoglio poli-tico che divideva la nazione.
Il movimento salesiano, fedele al Papa e ai vescovi, intendeva istituire un rapporto più stretto tra religione e società , tra tensione spirituale e impegno sociale, dimostrando di essere in grado, con il nuovo attivismo educativo, di dare slancio agli ancora incerti programmi dei cattolici, fedeli anche al motto di don Bosco: “onesti cittadini e buoni cristiani”.
In questo contesto, fare nel 1895 un Congresso Internazionale a Bologna per i Cooperatori Salesiani richiese coraggio e abilitĂ .
Le ragioni e gli scopi del Congresso, furono confermate dai discorsi dell’arcivescovo di Bologna, il cardinale Svampa, e da don Michele Rua (pur essendo stati invitati ripetutamente da autorità reli-giose e popolazioni della Regione) successore di don Bosco:
“Riannodare coi vincoli dell’amore le classi sociali, per ottenerne con la osservanza dei mutui ob-blighi la concordia e il benessere; rendere l’operaio conscio della sua dignità , ma in pari tempo dei suoi doveri; educare la gioventù affinché risponda degnamente alle speranze della Religione e della patria; evangelizzare popoli nelle missioni e renderli degni di conoscere Gesù Cristo e la sua civiltà ; assistere gli emigrati italiani per far sentir loro, coi benefizi della fede meno amaro il ricordo della terra natale: far conoscere più largamente lo spirito da cui fu informato don Bosco, il farlo penetrare e crescere, il moltiplicarne le istituzioni, è opera quanto mai corrispondente ai bisogni dell’età no-stra”. (Card.Svampa)
I propositi formulati dai Cooperatori e dalle Cooperatrici salesiane dell’Emilia- Romagna, in unione con i Vescovi della regione e con i Salesiani, favorirono nuove fondazioni.
Tra il 1890 e il 1892 giungono a Lugo e poi a Parma le Figlie di Maria Ausiliatrice, il ramo femminile della Famiglia salesiana, seguite subito dai Salesiani.
“Se vogliamo andare avanti – diceva il primo direttore di Lugo, don Nardi – bisogna che non si parli mai di politica né pro né contro; il nostro programma sia fare del bene ai poveri fanciulli”. Così voleva don Bosco. D’altra parte non c’era gran tempo per pensare alla politica, poiché nei primi anni salesiani e Figlie Maria Ausiliatrice erano pochi e dovettero letteralmente lottare per sopravvivere. Bisogna anche dire che il concetto di “politica” era ristretto ad una visione “partitica”.
Le fondazioni piĂą importanti dopo il Congresso Salesiano, furono realizzate nel 1896: a Ferrara, a Modena, e soprattutto a Bologna voluta fortemente dal cardinale Svampa.
Tutte le componenti della Famiglia Salesiana (Salesiani – Figlie di Maria Ausiliatrice – Cooperatori) contribuirono alla loro realizzazione aderendo alle prospettive sociali, religiose ed educative che don Bosco voleva: opere nuove nelle strutture, nei metodi, nell’incidenza sociale, nella fedeltĂ religiosa avendo, costantemente presenti i fini di penetrazione e di trasformazione del tessuto sociale bolognese, in linea con l’indirizzo sociale della recente “Rerum Novarum”: “Creare un’opera sociale e formativa della gioventù”.Â
Nel 1878, era stato eletto Papa Leone XIII (1878-1903) in un momento difficile per la Chiesa. Il nuovo Papa iniziava il suo ministero dopo la presa di Roma da parte del governo italiano: in Europa erano attivi movimenti ideologici non favorevoli alla Chiesa; una politica anticattolica in Belgio, in Svizzera ecc., un po’ dovunque in Europa. Il Papa cerca di ristabilire accordi: Prussia (1872); Russia (1883); Francia (1884); Colombia (1889). Esprime spesso il desiderio di pacificazione con l’Italia; interviene col negus Menelik per la liberazione di 1500 prigionieri italiani, catturati nella battaglia di Adua (1896).
Mentre circolano le dottrine di Marx, (1818-1883) elabora l’enciclica “Rerum Novarum” (1891).
Le tre grandi correnti di pensiero, liberalismo, socialismo e laicismo mentre costringono i cattolici alla difensiva, dall’altra li stimolano a iniziative sociali in grado di costruire risposte valide alle attese della gente. In questo movimento di idee, di confronti, di sperimentazioni si inserisce il I° Congresso Internazionale dei Cooperatori Salesiani che vede la partecipazione di illustri personalità come Giuseppe Toniolo (1848-1918) che fonda l’unione cattolica di studi sociali, Card. Svampa, Card. Ferrari di Milano poi Papa Pio X (1903-1914).
La presenza dei Salesiani è una realtà storica che si rivelerà “trainante” in campo educativo, creando la consapevolezza del nuovo e insieme la sua positività che facilita il dialogo.
In coincidenza con la venuta a Bologna nel 1896 di don Carlo Maria Viglietti, trentaduenne, già segretario di don Bosco (persona amata e sempre ricordata dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini che l’aveva avuto come Direttore a Varazze), si era provveduto all’acquisto di una vasta aerea fuori porta Galliera, vicino alla stazione ferroviaria, in un quartiere operaio. I Salesiani inizia-vano l’oratorio festivo nella chiesa di S. Carlino in città , 8 dicembre 1896.
Per la festa dell’Immacolata si aprivano le porte alla gioventù della zona e si contarono subito tre-cento ragazzi. Dopo due mesi erano saliti a seicento; la legnaia si trasformò in teatrino, risuonò di canti e fu palestra di recitazione per artisti grandi e piccoli; il cortile ed il prato furono trovati subito angusti per tanta varietà di giochi.
Accanto ai Salesiani, accorsero a dare una mano per il catechismo e per l’assistenza i chierici del Seminario e gli studenti del Circolo Universitario.
Anche la chiesa rivelò presto la sua insufficienza e si dovette alle feste sdoppiare l’orario pomeri-diano.
Quando don Rua il 21 febbraio 1897 visitò il S. Carlino si vide attorniato dai giovani, che gli chie-devano una parola, un sorriso, una benedizione. Il giorno seguente con il Card. Svampa, ugualmente commosso, assistette alla rappresentazione de “Le Pistrine” un dramma del salesiano Lemoyne. L’attività non si restringeva alla domenica, ma cominciava ad invadere la settimana intera con i gruppi specializzati (Compagnia di S. Luigi per i più piccini, di S. Giuseppe per i ragazzi di bottega, del SS. Sacramento per i più disposti alla pietà ; dell’Immacolata per i collaboratori più stretti) con il ritiro serale per i giovani, con le prime scuole serali, con conferenze e corsi speciali, con gite, con la banda, con gare sportive ginniche.
La cronaca quei tempi (1897) parla di una frequenza media festiva di 800 fra fanciulli ragazzi e giovani, dei 217 ragazzi messi a bottega nel corso dell’anno e dei 120 sussidiati con mezzi vari dalla provvista di vestito e calzature, alla pensione mensile, alla provvista di libri di scuola.
Si erano messe le basi del nuovo Oratorio per la gioventù; il 6 aprile 1902 l’oratorio di S. Carlino confluì alla Bolognina, fuori porta Galliera, in via Jacopo della Quercia. Si adattarono alcuni ambienti, si costruì la nuova ala con la cappella e con il teatro ed i giovani della Bolognina condivisero con quelli del S. Carlino quella maggior disponibilità di spazio. Con il tempo, si realizzò l’Istituto per le Scuole e l’Oratorio sentì nuovamente l’inadeguatezza degli ambienti e dei cortili. L’intraprendenza dei Salesiani superò anche quell’ostacolo con l’acquisto della Cartaria Binda e dell’area dell’ex-canile.
Da queste preziose istituzioni educative uscirono tanti giovani che si segnalarono in tutti i campi ecclesiali e civili: elenchi di sacerdoti, di salesiani e diocesani, missionari, e in campo civile uomini che si distinsero nell’insegnamento, nella vita militare, medaglie al valore ecc.
La prima e la seconda guerra mondiale, con la distruzione totale dell’opera non spense l’entusiasmo per le diverse attività a favore della gioventù bolognese. Dalle macerie l’Oratorio si risollevò più bello e vivace.
Accanto ad ogni Opera, sia dei Salesiani sia delle Figlie di Maria Ausiliatrice, c’è sempre l’Oratorio. Volendolo si potrebbero scrivere pagine meravigliose in onore di questa istituzione, che a giusta ragione fu chiamata il capolavoro di don Bosco.
Di fronte alla coraggiosa azione sociale dei Salesiani, coronata dalla presenza nell’oratorio di più di 600 giovani, fu più facile raccogliere i fondi necessari per iniziare le opere murarie del nuovo Istituto. La posa della prima pietra, nel 1897, costituì un avvenimento cittadino molto sentito dai bolognesi.
Il cardinale Svampa in quell’occasione affermò:
“Noi osiamo dar oggi principio ad una impresa ben grande, collocando la prima pietra d’un vasto Istituto, nel quale come in arena adeguata, l’azione salesiana si svolga in tutta la sua pienezza e riveli tutta la sua efficacia.
L’edificio, è simbolo di ristorazione morale della società nei suoi fondamenti ossia, nell’età giovanile, che deve tornare onesta e virtuosa basandosi sulla pietra fondamentale di ogni moralità e giustizia, che è Gesù Cristo. Finché Cristo non rientri nelle officine, nelle scuole, nelle istituzioni, nei costumi, negli animi, insomma in tutte le fibre sociali, è follia sperare onestà di vita, fermezza di carattere, abnegazione, carità , eroismo, osservanza dei doveri religiosi, domestici, sociali. Don Bosco bene comprese queste verità e senza teorie astratte, mosso solo dalla carità e dallo spirito di Gesù Cristo, in questa carità e in questo spirito trovò il segreto di formare giovani. I figli di lui, del vero metodo educativo e delle sue dottrine, ne cureranno con zelo e con amore la saggia educazione dei figli del nostro popolo, e prepareranno a Bologna una generazione migliore. I bolognesi saranno i ministri visibili della Provvidenza divina a cui ci appoggiamo. Essi aiuteranno, persuasi che l’Istituto salesiano sarà una gloria di questa città , un rifugio di salvezza dei poveri figli del popolo”.
L’Istituto salesiano divenne realtà in breve tempo: fu inaugurato il 30 maggio 1899 e due anni dopo, il 14 maggio 1901 si diede inizio alla chiesa dedicata al S. Cuore di Gesù, unita all’Istituto.
“L’Istituto Salesiano e il Tempio del Sacro Cuore – affermò in quell’occasione il Card. Svampa – realizzano nel mio pensiero un segnale di nuova alleanza fra il cielo e la terra nella diocesi bolognese”.
Un’alleanza che ebbe nei Salesiani dei realizzatori laboriosi.
L’Istituto salesiano costituì, infatti, per molti anni un punto di riferimento per tutta una serie di attività con una duplice finalità : religiosa e sociale; l’Oratorio, la Chiesa, il Tempio da un lato e dall’altro le scuole professionali artigiane per legatori, sarti, calzolai, falegnami e poi per compositori, impressori, meccanici; si aggiunsero anche le scuole elementari e ginnasiali.
Il sacro edificio è opera pregiata di Edoardo Collamarini (1864-1928), artista di grande cultura e di squisita sensibilità . Con il Santuario cresceva anche l’Istituto Salesiano di via Jacopo della Quercia.
Il santuario fu definito il più bel tempio eretto in Italia al Sacro Cuore e certamente uno dei più monumentali tra i sacri edifici costruiti in quell’epoca.
1 giugno 1901
Il Papa Leone XIII invia la sua benedizione e un’offerta.
14 giugno 1901
Il Card. Domenico Svampa benedice e depone la prima pietra.
10 agosto 1907
Il Cardinale Svampa muore ed è sepolto nella cripta del tempio.
15 ottobre 1912
L’arcivescovo Giacomo della Chiesa, poi Cardinale e Papa Benedetto XV, consacra e inaugura il maestoso tempio. Anche da Papa ha voluto poi mantenere il titolo di “Parroco ad honorem del Sacro Cuore” di Bologna.
3 settembre 1914
Viene eletto Papa e si chiamerĂ Benedetto XV (1914-1922).
La 1° guerra mondiale (1914-1918)
E’ una guerra totale, nel 1918 è finalmente proclamata la fine dell’inutile strage.
21 novembre 1929
Crolla la cupola nel santuario e si sfascia quasi tutto il tempio.
10 maggio 1930
La chiesa viene affidata ai Salesiani; ne prende possesso il Salesiano D. Antonio Gavinelli che succede così al diocesano D. Riccardo Zucchi morto il 19 aprile 1929. Don Gavinelli inizia subito i lavori di ricostruzione.
19 maggio 1935
Si riapre il tempio al culto celebrandosi in Bologna la festa della Canonizzazione di S. Giovanni Bosco. Nel 1938 viene collocata la statua del Sacro Cuore dello scultore di Ortisei Antonio Messner.
La 2° guerra mondiale
I soldati tornano a casa e anche i Salesiani, lasciata la divisa tornano alle loro opere.
Altezze del Santuario
Dal piano stradale:
alla cima della croce m. 67,50; al vertice del grande catino m. 55,50; alla seconda ringhiera m. 38,80; alla prima ringhiera m. 29.
Il 19 giugno 1955 il Card. Lercaro benedice l’organo rinnovato.
Il 21 novembre 1929 nelle prime ore pomeridiane nel rione Bolognina si udì un improvviso boato mentre polverone biancastro e soffocante si alzò sul Santuario del Sacro Cuore e sulle case circostanti. La cupola del Santuario era crollata trascinando nella sua rovina il tetto della Chiesa, le parti superiori dei muri laterali e facendo sprofondare il pavimento.
Dell’insigne opera del Collamarini non rimanevano che tronconi di mura.
La visione del Santuario in rovina era penosa ed il cardinale Nasalli Rocca, nel febbraio del 1930 nell’annuale riunione dei cooperatori salesiani ebbe a dire: “Bisogna ricostruirlo dove era e come era”.
Nel 1930 giunge a Bologna il salesiano don Antonio Gavinelli. Proveniva da Rimini, dove era stato parroco e ricostruttore della parrocchia salesiana denominata: “una parrocchia per l’Europa” perché realizza su quella che fu definita “una spiaggia per l’Europa”, perché nella stagione estiva vi confluiscono decine di migliaia di turisti italiani e stranieri, cattolici e di altre confessioni e frequentano quella diocesi. La parrocchia venne affidata ai salesiani e don Antonio Gavinelli ne fu il primo parroco. Le condizioni economiche del momento erano pressoché disastrose, don Gavinelli non aveva un soldo ma lo sorreggeva una fede profonda ed operosa: e fu il “ricostruttore” del Santuario. Il suo principio era di fare il bene, il meglio possibile, senza badare a spese.
Quattro anni dopo, il 24 gennaio 1934 il capolavoro del Collamarini era già risorto e don Gavinelli poté ricollocare sulla ricostruita cupola la croce che era rimasta intatta dal crollo del 1929.
Questo dinamico prete nel 1943, durante la 2° guerra mondiale osa criticare l’andamento delle operazioni militari, scriverà : “le cose non vanno bene”. Il foglio arriva nelle mani di alti gerarchi fascisti di passaggio per Bologna e don Gavinelli viene prelevato d’autorità e condannato a tre anni di confino.
Il 25 settembre 1943 il Santuario viene colpito da un furioso bombardamento aereo e gravissimi sono i danni. Successivamente è colpito l’Istituto, ancora il Santuario, i laboratori, la casa delle suore. Quando alla metà del 1945 don Gavinelli può tornare dal confino alla sua Bologna, ritrova rovine, macerie e desolazione.
Ma don Gavinelli non si scoraggia.
Il 22 giugno 1947, il Santuario interamente restaurato, viene inaugurato per la terza volta.
Intanto don Gavinelli nel dopoguerra ricostruisce i laboratori, amplia l’oratorio, consolida l’Istituto e, nel 1948, fa rifiorire dalle macerie l’orfanotrofio di Castel De’ Britti. Infine, prima di morire don Gavinelli porta quasi a termine i lavori di costruzione del grande tempio di San Giovanni Bosco in via Genova (poi via Beato Dal Monte) a Bologna.
Sono la terza realtà spirituale, con cui da don Bosco ha operato nel suo lavoro per la gioventù, prima ancora dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Egli stesso scriveva nell’introduzione al Regolamento redatto per loro: “Appena si cominciò l’opera degli oratori nel 1847 tosto alcuni pii e zelanti sacerdoti e laici ci vennero in aiuto a coltivare la messe che fin d’allora si presentava copiosa nella classe dei giovanetti pericolanti. Questi collaboratori o cooperatori furono in ogni tempo di sostegno delle opere pie che la Divina Provvidenza ci poneva tra mano”.
Nel movimento di Famiglia Salesiana un posto speciale va dato alle FMA IN BOLOGNA E PROVINCIA
Nel 1926 a Corticella, per interessamento di d. Pietro Martinelli viene aperta la Casa con scuola materna; lo zelante parroco lascia alle Figlie di Maria Ausiliatrice, alla sua morte, fabbricati e tutto quanto possedeva. In seguito si aggiunsero Aspirandato e Postulato, ove le giovani si preparavano alla vita religiosa.
A Bologna in via Serlio 22 sorge la Casa per merito di don Antonio Gavinelli, con lo scopo di curare le opere parrocchiali, (scuola materna, scuola elementare ed in seguito scuola media legalmente riconosciuta).
Da non dimenticare la Casa in via Beato Dal Monte, fondata nel 1970, nella località denominata “Cricca”. C’era da cancellare questo poco edificante appellativo e si può ben dire che l’esiguo numero di suore ha fatto miracoli.
Don Bosco educa ancora.
-Â Il suo capolavoro? La prima ricostruzione del Santuario del Sacro Cuore?
Giunto a Bologna pressoché sconosciuto a tutti, senza denaro e senza amicizie di persone influenti e pone mano ad un lavoro immane. E sa trovare il denaro e raggiunge il suo scopo e da un cumulo di macerie informi ecco risorgere il bel Santuario.
- Il capolavoro di don Gavinelli ? La seconda ricostruzione del Santuario compiuta subito dopo la guerra.
Ancora macerie e questa volta oltre che nel Santuario, anche nel vicino Istituto Salesiano che, per quanto grande non aveva più neppure una stanza abitabile. Alle sue responsabilità di Parroco vengono affidate pur quelle di Direttore dell’Istituto. I suoi Superiori pensando a lui possono dire: “Scio sui credidi” – “so a chi affido la mia fiducia…” Sono i tempi durissimi del dopoguerra. Dappertutto vi sono macerie, scarsità di lavoro e di denaro. Eppure il Santuario viene in breve restaurato, l’Istituto presto rifiorisce e tornano i giovani a darvi vita nello studio, nella pietà , in ricreazioni gioiose di grida e di giochi.
- Oppure il suo capolavoro è il Tempio di San Giovanni Bosco e l’annessa Casa Salesiana? E la casa delle suore?
Sono costruiti quand’egli è ormai sulla ottantina e, colpito da infarto; lavora costantemente seduto su di un letto, davanti ad un tavolinetto su cui giungeranno ogni giorno decine di lettere che richiedono la sua guida e il suo conforto. Il suo lavoro non conosce soste sino all’ultimo giorno della sua vita.
- Forse il suo capolavoro è l’Orfanotrofio di Castel de’ Britti. Qui non v’è solo capacità organizzativa e doti di felice realizzatore di opere grandiose, ma anche il suo cuore sensibile ad ogni problema, aperto ad ogni istanza dell’apostolato. Qual è dunque il suo capolavoro?
Potrà stupire, ma il suo capolavoro è l’Opera Salesiana del Sacro Cuore, ora divenuta Associazione non tanto perché essa con i suoi 160.000 più Associati dislocati in ogni parte d’Italia e dell’Estero gli ha dato i mezzi sufficienti per la felice realizzazione delle opere intraprese, ma per lo scopo per cui l’ha creata.
Più e più volte egli andava ripetendo e pubblicando: “Duplice è il fine della nostra Opera: praticare e diffondere la devozione al Sacro Cuore come meglio sia possibile ad ognuno, e contribuire secondo le proprie possibilità ad opere intraprese soprattutto a salvezza delle anime giovanili”.
L’amore del benefattore al Sacro Cuore di Gesù è quindi il segreto di tante opere di bene che testimoniano davanti a Dio e agli uomini tanta devozione.
Vi sono anime elette che Gesù stesso sceglie per le Sue opere: “Non voi avete eletto me, ma Io ho eletto voi” può dire Gesù; anime che danno la loro vita intera al servizio di Dio, rinunciando ad ogni altro ideale per quanto grande e sollecitante possa essere, pur di cooperare con il Signore in quello che Egli ha di più caro: la salvezza delle anime.
Don Gavinelli apparteneva a questo stuolo di anime privilegiate. E ci sono anche anime, che pur essendo nel mondo, sono ardenti di amore a Dio e generose di opere di bene per amore del prossimo, quel prossimo in cui esse vedono GesĂą. Di queste persone Don Gavinelli ha voluto che si componesse la sua Opera del Sacro Cuore.
Siete voi, carissimi Amici e Benefattori il vero capolavoro di Don Gavinelli.
Un capolavoro fatto di persone vive il più bel santuario del Sacro Cuore quaggiù sulla terra, un santuario che dilata sempre più gli spazi a maggiori conquiste nella carità di Gesù, di anime all’amor di Dio, fino a tanto che Egli col suo amore sia tutto in tutti!
La storia della grandiosa opera può ricostruirsi attraverso gli appelli e i resoconti pubblicati dallo stesso Don Gavinelli nel periodico Il Santuario del Sacro Cuore. La prima notizia sull’erigendo tempio risale al gennaio del 1958, ma già in precedenza il Rettore Maggiore dei Salesiani aveva dato il suo benestare a condizione che accanto alla nuova chiesa sorgessero scuole, laboratori e ariosi cortili, ossia le infrastrutture indispensabili per la creazione di un centro propulsore di vita salesiana. Per iniziativa di D. Gavinelli, al fine di dare impulso e coordinazione alle offerte destinate all’ingente impresa, il primo ottobre 1959 veniva istituita l’Opera S. Giovanni Bosco educatore. All’inizio del 1960 poteva così essere acquistato un primo appezzamento di terreno a cui si aggiun-sero, in seguito, altri lotti per una superficie totale di mq.65.000. Alla fine del 1961, a causa dell’intenzione del Comune di Bologna di vincolare una porzione di circa mq. 10.000 dell’area già acquistata per riservarla a piazza o giardino, i Salesiani iniziarono nuove trattative onde entrare in possesso di tutto l’isolato previsto dal piano regolatore. Oggi attorno a questo insigne monumento di religiosità popolare e di carità si estende una parrocchia operosa in via di continuo incremento con una popolazione di circa 12.000 anime, in massima parte operai e impiegati. E’ una parrocchia giovane nel pieno senso della parola: non solo perché recente, ma soprattutto perché contraddistinta da un livello medio di età assai basso. Il connubio fra essa e i Salesiani non poteva quindi risultare migliore perché proprio verso i giovani sono rivolte le assidue cure dei seguaci di D. Bosco in ossequio agli alti principi dell’apostolato del loro fondatore.