Nome: EDVIGE
Era di stirpe regale, ma ancora più illustre per la sua innocenza di vita: era figlia di Bertoldo principe di Carinzia e zia materna di S. Elisabetta di Ungheria. Andata sposa a Enrico I, duca di Polonia, diventò madre di sette figli che educò nella fede e nell’amore di Dio. Duchessa di Slesia, camminò verso la santità operando nelle occupazioni di governo, della casa, della vita familiare, nel servizio ai poveri, che serviva a tavola, nella cura dei lebbrosi che assisteva per amore di Dio. Per meglio dedicarsi all’unione con Dio, indusse il suo sposo a impegnarsi con lei nel voto di castità . Morto il duca Enrico, Edvige si ritirò nel monastero cistercense da lei fondato a Trebnitz (Polonia). Soccorse i poveri e i religiosi, beneficò i carcerati, migliorando le loro condizioni di vita.
Si adoperò per la liberazione dei prigionieri di guerra e a sua volta, quando il marito cadde in mano a un nemico, ne ottenne la liberazione. Si diceva che delle sue rendite trattenesse per sé appena un centesimo, donando tutto il resto in carità . Tutto ciò, per lei, non era altro che dovere: il dovere di una principessa veramente cristiana. I suoi meriti diciamo così straordinari dovevano essere altri, più segreti e ancora più ardui da conseguire. Straordinaria fu infatti l’austerità della Duchessa di Slesia nella sua vita privata, trascorsa in mezzo ai digiuni, alle veglie, alle vere e proprie privazioni. Non bastava farsi serva dei poveri, consolatrice degli afflitti, infermiera degli ammalati e dei lebbrosi. Bisognava mortificare il proprio corpo, offrendo le sofferenze a riscatto dell’egoismo, della sensualità e dell’avidità dei più. Morì il 15 ottobre 1243. La Polonia la onora in modo speciale come una delle sue sante patrone.
Nome: GERARDO
Usciva da una modestissima famiglia di Muro Lucano, in provincia di Potenza. Suo padre faceva il sarto. Gerardo era l’ultimo di cinque fratelli. Forse già da piccolo provò che cosa fosse la fame. Ma un giorno il Gesù Bambino d’un piccolo oratorio, gli diede due pagnotte di farina bianca. “Credevo che fosse un bambino come me - dirà poi Gerardo. - Ora lo ritrovo dovunque”. I compagni del paese qualche volta lo picchiavano. Ed egli rideva. “Perché ridi?” gli fu chiesto. “Rido perché è la mano di Dio che mi batte”. Avrebbe voluto entrare tra i Cappuccini. Fu rifiutato perché troppo gracile. Si rivolse ai Redentoristi di Sant’Alfonso de’Liguori, presso Foggia, dove rimase come umile fratello converso, intento alla propria perfezione spirituale. Ma giunse il giorno della prova. Un giovane l’accusò calunniosamente. Egli non si difese. Sant’Alfonso, credendolo colpevole, gl’interdisse la Comunione e ogni relazione con le persone fuori del convento. Lo trasferì poi nei pressi d’Avellino. Il calunniato Gerardo pensava che se Dio avesse voluto dimostrare la sua innocenza, nessuno avrebbe potuto farlo meglio di Dio stesso. Perciò seguitò a tacere. Soffrì per non potersi comunicare, ma tacque. Egli conosceva bene le tentazioni di colui che chiamava Frate Zolfo, cioè il demonio. Non c’era che una maniera per vincerlo: l’umiltà . Perciò il giovane, considerato religioso indegno, lasciò che tutti lo umiliassero. Fino a che la giovane donna, che lo aveva accusato, ritrattò e smentì tutte le sue accuse contro Gerardo. Stupore dei confratelli, gioia di Sant’Alfonso. Ma perché il frate converso s’è lasciato calunniare così? “Perché quella era una buona occasione per farmi Santo. Se la perdevo, la perdevo per sempre”. I Superiori gli impongono di scrivere i racconti dei suoi esami di coscienza, e l’umile converso scrive in ginocchio parole che Sant’Alfonso trova di una perfezione spirituale ammirabile. Attorno a lui avvenivano straordinari prodigi. Durante la preghiera scompariva agli occhi dei confratelli. In quest’aura di prodigiosa santità , fra Gerardo morì a soli ventinove anni, dicendo: “Dio è morto per me. Se a lui piace, io vorrei morire per lui”.
Nome: MARGHERITA
Suo padre era notaio e magistrato della città e avrebbe garantito alla piccola Margherita, nata il 22 luglio 1647, a Autun in Francia, una vita agiata, ma morì giovane. Margherita orfana ebbe non poco a soffrire, ma appena adolescente, sentì la gioia di essere chiamata a consacrarsi per sempre a Dio. Offrì a Dio il voto di castità e attese l’ora per farsi religiosa. Superate le difficoltà da parte dei parenti che sognavano un brillante avvenire per Margherita, a 24 anni entrò alla Visitazione di Paray-le-Monial, diventando suor Margherita Maria. Il 27 dicembre 1673, Gesù in persona le apparve, mostrandole il suo Cuore fiammeggiante circondato di spine e dicendole: “Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini da non risparmiare nulla fino a consumarsi per attestare loro il suo amore. Non ricevo, per contraccambio, che ingratitudine e disprezzo. Tu almeno amami”. Da quel giorno, tramite le apparizioni del Cuore di Gesù, che si ripeteranno per due anni ogni primo venerdì del mese, Margherita Maria era incaricata di vivere e di diffondere nella Chiesa e nel mondo la devozione all’amore di Cristo, rivelato sotto il simbolo del cuore, mediante la preghiera, la riparazione dei peccati, l’offerta della propria vita, l’impetrazione di salvezza per tutti gli uomini. Gesù legava a questa “devozione” - che ben compresa è “la massima professione della fede” (Pio XII) - innumerevoli grazie di luce, di perdono, di salvezza per tutti gli uomini, uno stile di vivere il cristianesimo dolcissimo ed esigente, pieno di fedeltà alla sua Legge e di fiducia nel suo amore, così da superare le difficoltà del giansenismo allora dilagante e che allontanava le anime da Dio. Nella sua opera, Margherita Maria, diventata ardente di amore per Gesù, trovò diverse difficoltà , ma sostenuta da Gesù stesso e dall’opera del suo confessore, P. Claudio La Colombière, gesuita, (oggi santo), poté compiere la sua missione singolare. Per invito del confessore, scrisse anche la sua Autobiografia, testimonianza forte e luminosa delle promesse di Gesù e della sua santità austera e umanissima. Morì il 16 ottobre 1690 e fu canonizzata il 13 maggio 1920, da Papa Benedetto XV.