WASHINGTON, 6. I vescovi degli Stati Uniti ribadiranno il loro impegno in difesa della vita e della dignità dei malati terminali, in occasione della prossima assemblea generale che si terrà dal 15 al 17 giugno nella città di Seattle, nello Stato di Washington. I presuli, per l'occasione, discuteranno infatti, fra l'altro, su una bozza di documento sul suicidio medicalmente assistito, dal titolo "To Live Each Day with Dignity". Il documento prende le mosse dalla preoccupazione espressa dall'episcopato per "la forte ripresa di attività" delle organizzazioni che nel Paese promuovono l'eutanasia ed esorta tutti i cattolici a "collaborare, assieme ad altri, a sostenere il diritto di ogni persona a vivere con dignità".
Il cardinale arcivescovo di Galveston-Houston, Daniel N. DiNardo, presidente del Committee on Pro-Life Activities dell'episcopato, ha osservato che "dopo anni di relativa inattività" - seguiti in particolare al riconoscimento giuridico nello Stato dell'Oregon della pratica del suicidio assistito dai medici, avvenuta sulla base di un referendum del 1994 - i movimenti a favore dell'eutanasia "hanno mostrato una forte ripresa dell'attività" e "questo rinnovato sforzo" rischia soprattutto di far estendere la legalità della pratica anche in altri Stati. Dal 1997 iniziative referendarie, con esiti negativi, per legalizzare l'eutanasia sono state promosse in California, Hawaii, Michigan e Vermont. Peraltro, i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti non hanno voluto esprimersi sulla legge dello Stato dell'Oregon che autorizza l'eutanasia, stabilendo che la questione è di competenza dei vari Stati. L'Oregon ha approvato la legge "Death with Dignity Act" ("Morte con Dignità") che consente a un medico di prescrivere farmaci letali ai malati terminali che ne fanno richiesta. In tale contesto, un malato può chiedere assistenza solo se residente in Oregon, se maggiorenne e mentalmente capace e se affetto da malattia terminale che causi la morte entro sei mesi.
Nella bozza di documento dei vescovi si sottolinea che "vi è bisogno di rispondere in modo tempestivo e visibile a questa nuova sfida, che sarà sicuramente portata avanti in una serie di Stati negli anni a venire".
I presuli parlano delle paure e delle difficoltà dei pazienti di fronte alla malattia terminale e della sollecitudine della Chiesa verso le persone che soffrono per il loro grave stato di infermità, ma anche dell'opposizione al suicidio assistito e della coerenza di questa posizione con il principio della parità dei diritti umani e dei principi etici della professione medica. Secondo il documento la pratica dell'eutanasia compromette anche la libertà dei malati terminali "facendo pressione sulle loro coscienze", nel momento in cui, da una parte, "si dichiara ufficialmente che i suicidi assistiti che riguardano determinate persone sono accettabili", mentre dall'altra "si lavora per prevenire gli altri". In conclusione, si aggiunge che il suicidio assistito non "è da considerare un'aggiunta alle cure palliative, ma un povero mezzo sostitutivo che in ultima analisi può diventare addirittura una scusa per negare una migliore assistenza medica ai malati gravi, compresi quelli che non hanno mai pensato al suicidio come un'opzione". Inoltre, la pratica "non favorisce la compassione, perché la sua attenzione non è incentrata sull'eliminazione della sofferenza, ma dello stesso malato".
Oltre all'Oregon, il suicidio assistito è divenuto, per esempio, pratica legalizzata dal 2009 anche nello Stato di Washington. I vescovi dello Stato, in occasione del referendum popolare, avevano dichiarato, fra l'altro, che "trasformando il suicidio in un'opzione medica, si altera radicalmente la relazione tra medici e pazienti, privandoli del supporto vitale della famiglia, degli amici e della fede".