di Monica Corna
Il Centro Don Bosco Ngangi oggi, lunedi 9 settembre, riapre con una settimana di ritardo, la scuola.
Il cortile è pieno di bambini, ognuno di loro cerca con gli occhi la sua maestra, la sua classe.
C’è chi invece ha gli occhi pieni di speranza e cerca un posto vuoto per poter iniziare anche lui la scuola.
Purtroppo non è possibile, purtroppo non c’è posto per tutti, anche quest’anno potranno studiare solo 3500 alunni tra bambini e ragazzi, sono tantissimi, ma non è abbastanza.
Sulle strade, davanti alle loro case e nel cortile di Ngangi i bambini che aspettano, che non hanno un posto a scuola sono ancora tanti.
Il colore che risalta in tutto il cortile e quello dell’uniforme, la camicia bianca, la gonna o il pantaloncino blu, un sorriso affiora sulle labbra, perchè in mezzo al bianco splendente, emerge il grigino consunto della maglietta usata, la gonnellina troppo lunga o il pantaloncino rattopato dei bambini che orgogliosi della loro uniforme non hanno potuto comprarla nuova, ma non fa niente, si sorride e si è felici perchè il primo giorno di scuola è iniziato.
Il centro riapre i battenti, i bambini riprendono il loro ritmo, il rumore delle macchine della scuola professionale di falegnameria accompagna il vociare dei piccoli e grandi alunni.
Ogni persona, ogni cosa, si riappropria a pieno ritmo del suo ruolo.
Dai bambini che intonano all’inizio di ogni giornata una preghiera, un canto, prima di dirigersi verso la propria classe ;
All’equipe sociale che ascolta ogni storia, che in comune ha la speranza di poter avere una risposta al problema che porta;
All’elettricista che cerca di aggiustare un guasto, per evitare che tutto si fermi;
Alle campane che suonano la fine della lezione;
Alle sedie dei diversi uffici che si muovono;
Alle persone che si incontrano che si confrontano per trovare , cercare una soluzione per aiutare meglio una persona;
Agli sguardi che si incrociano e si alzano al cielo, perchè per l’ennesima volta quella persona viene a chiedere un aiuto, perchè non ce la fa, perchè la vita è troppo dura, perchè magari è un ex ragazzino di strada e non ha avuto la forza di uscirne;
Ai piccoli della maison ushinidi che ogni volta che vedono qualcuno di nuovo intonano il canto di benvenuto;
Al pianto di un bambino che è curato al dispensario che pur essendo un bambino che non piange mai, davanti al camice bianco ha paura, come tutti i bambini del mondo;
Alle porte che sbattono perchè un bambino in corsa chiama l’altro;
Alle pentole sul fuoco nella grande cucina;
Al silenzioso sguardo dei bambini malnutriti, che non hanno molta energia per giocare;
Alle mamme del microcredito che non mancano mai di regalare un grande sorriso, perchè oggi hanno avuto la loro risposta positiva;
Alle ragazzine di mamma Margherita che in gruppetti di dieci imparano a cucire, a tagliare i capelli, a cucinare, intonando nel frattempo un canto o raccontando la loro storia o magari litigando.
Infatti le piccole casette di legno colorate anche quest’anno si sono riempite, purtroppo non tutte le ragazzine dello scorso anno sono riuscite a tornare nel loro villaggio, perchè la sicurezza non è loro garantita, ma hanno accolto le loro nuove compagne per fare un pezzettino di strada insieme;
Ai bambini di strada accolti al centro Gahinja, che si preparano per iniziare il nuovo anno con un pò di fatica, perchè lasciare la strada, fare una scelta di impegno, non sempre è facile.
Questo è il caos delle giornate di Ngangi, fatto di tante persone di tante cose, di un luogo che cerca sempre e nonstante tutto di dare delle risposte.
Un luogo fatto di speranza, di tanta speranza, speranza in una vita normale che durerà quanto, un giorno, dieci giorni, non si sa, ma non importa, si deve vivere si deve andare avanti.
Ecco il Centro che ricomincia, in un atmosfera di guerra dimenticata, non solo per il mondo intero ma anche per chi vive dentro questa realtà. Le giornate trascorrono, le attività si fanno come se nulla stesse succedendo come se i signori della guerra che in questo momento stanno decidendo le nostre sorti, non esistessero nemmeno.
Questa guerra dimenticata, ogni volta diventa più cattiva, perchè oltre a fare male, oltre a distruggere, logora dentro.
Questi sono giorni di silenzio, non si sente sparare, ora stanno parlando siamo agli ennesimi negoziati, come se quindici giorni possano risolvere una guerra che continua da vent’anni. I profughi in tutto il Nord Kivu sono più di un milione e circa il 20% si trova alle porte di Goma. Sono tantissime persone che non vivono una vita normale, tantissimi bambini che da anni intorrompono la scuola. Come saranno questi adulti del domani che hanno edificato la loro educazione sulla instabilità, sull’assistenzialismo, sull’abituarsi a vivere in un campo come se fosse un luogo di vita normale. Che impronta avrà la loro vita guardando un mondo di adulti che vive di espedienti, che vive utilizzando ogni mezzo per sopravvivere arrivando magari a imbrogliare per avere di più.
Vivere il Centro ti fa a volte dimenticare questa realtà, ti fa pensare che perchè riusciamo a dare delle risposte sia già abbastanza, ma non basta, occorre denunciare, occorre parlare occorre sentirsi responsabili, occorre spronarsi a dare di più a fare meglio e ad ascoltare, non stancarsi mai di ascoltare.
Questa è una guerra dimenticata perchè è un luogo dimenticato, ma per chi lo ha conosciuto è capace di lasciare un segno indelebile nel cuore, perchè pur essendo un luogo dove non esiste giustizia è comunque capace di insegnarti la speranza.
Monica
11 settembre 2013