di Don Roberto Carelli Sdb
Continuiamo a riflettere sulla preziosità dei gesti dell’amore e sull’urgenza di contenere la loro svendita sottocosto imposta dalla diffusa perdita del pudore, fomentata dall’industria dell’intrattenimento e celebrata ossessivamente dall’universo dei media.
Tutto spinge, a proposito dei gesti dell’affetto, a perdere l’elementare evidenza che le cose più preziose sono le più custodite e le più costose, le più sacre e bisognose di sacrificio. La logica del godimento immediato, con i suoi suadenti inviti a sentirsi liberi, a superare i tabù, a lasciar cadere le inibizioni, a raccontare disinvoltamente o a spiegare scientificamente le cose dell’amore, produce ferite mortali nel cuore dei nostri giovani.
Possiamo non esserne preoccupati noi cristiani, che riconosciamo nella carne di Gesù la rivelazione del volto di Dio, che professiamo un Dio “nato da donna”, che pretendiamo di aver visto e udito, addirittura “toccato il Verbo della vita”, e che con infinita gratitudine sappiamo che “dalle sue piaghe siamo stati guariti”?
Certo, benché la fede custodisca l’unità dell’uomo in anima e corpo, non possiamo negare di avere alle spalle un’eredità pesante.La cultura occidentale ritiene che i sensi più spirituali siano la vista e l’udito, mentre la fede conosce un misterioso primato del tatto: la più profonda esperienza di Dio non coincide con un’intuizione spirituale o una perfezione morale, ma con l’esperienza eucaristica; e la crescita della vita cristiana non consiste in un superamento della sensibilità, ma nello sviluppo di sensi spirituali, la capacità di cogliere la presenza del Signore in ogni cosa, di sperimentare l’efficacia della Sua Parola, di gustare il realismo e la bontà del Suo Corpo!
Ascoltiamo Hadjadj, questo filosofo francese dal nome arabo, ebreo di nascita e cattolico nella professione di fede: “l’amore più profondo implica una dimensione tattile. Una madre troppo contemplativa farebbe star male il suo bambino. Tutti i sacramenti della Chiesa sono tattili. Offrono la massima resistenza a Internet. Non esistono né sito battesimale né Messa televisiva, (contrariamente a quanto si creda). Non si può concedere l’assoluzione per telefono. Non si può far la comunione per email. È necessaria l’imposizione delle mani. Ci vuole il contatto della lingua. Anche Aristotele osserva che non sono né la vista né l'udito che distinguono l’uomo tra gli animali, bensì, paradossalmente, ciò che egli condivide maggiormente con loro: per gli altri sensi, in effetti, l'uomo rimane indietro di molto rispetto agli animali, ma quanto alla finezza del tatto egli è di gran lunga superiore”.
Fra i molti gesti dell’amore, la carezza è certo molto rivelativa, se spinge un regista come Olmi a far dire a uno dei suoi protagonisti: “tutti i libri del mondo non valgono una carezza”!
La carezza esprime il mistero della tenerezza, che è quando l’affetto prende insieme l’anima e il corpo. Il nome stesso lo dice: “carezza”, viene da “caro”, che in latino significa “carne”, e suggerisce la quintessenza del sentimento amoroso, quel sentimento della preziosità dell’altro, della meraviglia e della vulnerabilità della sua esistenza, che ci fa dire “mi sei caro, mi sei cara”, accompagnando la parola con il gesto della mano.
Soprattutto, la carezza non è un semplice toccare, ma è contatto con l’intoccabile, è toccare il mistero. Paradossale: la carezza sfiora la superficie del corpo, ma cerca la profondità dell’anima. La carezza non vuole definire, possedere, ma far emergere, riconoscere. Lévinas, il grande filosofo ebreo a cui si deve una tra le migliori fenomenologie dell’eros, spiega che “la carezza consiste nel non impadronirsi di niente, nell’evocare ciò che sfugge continuamente dalla sua forma”. La carezza “non punta allo svelamento, ma alla ricerca, è un cammino nell’invisibile. In un certo senso esprime l’amore, ma soffre per un’incapacità di dirlo”. La verità della carezza, a ben vedere, è quando sessualità e verginità non sono dissociate, quando la volontà di appartenersi e di rispettarsi sono una cosa sola!