di Tratto da Ballestrero, Il cuore del Curato D'Ars, LDC 2009
Il ministero ci identifica
Ho detto che diventiamo sacramento di Cristo e l’espressione riecheggia un certo vocabolario conciliare che è profondamente vero. Ma proprio perché la nostra identità trascendente è quella di essere sacerdoti di Cristo, la caratteristica che sembra emergere come più comprensiva e più esaustiva è quella che lo stesso Vaticano II ha manifestato e sottolineato: il nostro è un sacerdozio ministeriale.
La ministerialità è quindi la caratteristica identificante del nostro essere preti: ministri di Cristo, ministri della missione di Cristo e perciò stesso
ministri dell’amore del Padre,
ministri della redenzione del Figlio
e ministri dell’inesauribile effusione dello Spirito.
Questo è l’aspetto prodigioso del nostro sacerdozio, del quale non possiamo mai esaurire le stupende dimensioni e che perciò deve continuamente essere presente al nostro spirito, perché la nostra identificazione in ministri o meglio la nostra identificazione nel ministero di Gesù diventi davvero il dinamismo della nostra vita.
Il ministero ci definisce
Siamo costituiti ministri da un avvenimento sacramentale, l’ordinazione, e l’essere costituiti ministri fonda una situazione di legittimità e di diritto.
Bisogna però che poi questa diventi incarnazione storica di fatto nella concretezza della vita di ciascuno di noi, nella quale vita la ministerialità diventi la dimensione totalizzante.
Essere prete vuol dire diventare ministro con tutta quella carica biblica, liturgica, pastorale che questa parola, specialmente dopo il Concilio, è andata assumendo, riallacciandosi all’esperienza della Chiesa primitiva.
Questa identificazione in ministri di Cristo e della sua missione una identificazione strumentale, in quanto ci indica ciò che dobbiamo essere per gli altri,o è anche una dimensione costitutiva che indica ciò che dobbiamo diventare nell’intimo, proprio come configurazione del nostro essere cristiani e discepoli del Signore?
Troppe volte, parlando del ministero, se ne ha una concezione un po’ strumentale, ma questo ministero – che è per gli altri senza dubbio – è realtà trascendente e misteriosa che attraversa la nostra vita, ci si radica dentro, la intride e la cambia, la deve cambiare.
Il ministero ci santifica
Il ministero è un dinamismo di identificazione personale, il ministero è la vitalità del nostro essere preti. E il Concilio ce lo ha detto in maniera esplicita: l’itinerario della santità del prete è il suo ministero.
Visioni troppo dualistiche – dobbiamo pensare al ministero, ma dobbiamo anche pensare a santificarci – anche troppo diffuse in un passato che fa fatica a morire, sono anticonciliari, sono contro la verità e contro il ministero. Questa persuasione che il ministero sia ostacolo alla santità del prete, serpeggia perché si ha del ministero una visione strumentale: siamo ministri per gli altri e allora gli altri ci impediscono di pensare a noi stessi; e non penetriamo abbastanza la natura profonda del ministero che non per nulla ci viene conferito con un sacramento di grazia che riceviamo proprio noi.
Il sacramento dell’Ordine lo riceviamo noi e ricevere un sacramento significa ricevere una grazia che ci abilita, che ci adegua, che ci proporziona ad una missione nei confronti del popolo di Dio.
E che questo non diventi dinamismo di santificazione del prete è paradossale.
Se non lo diventa è perché non si fa abbastanza attenzione a ciò che il ministero significa, include ed esige.
Allora, questa identificazione in ministri è davvero un impegno per noi, una vocazione e anche una grazia che ci viene continuamente offerta. La trasfigurazione di noi stessi in ministri pare a me che debba diventare un’intenzione che non viene mai meno nella nostra vita e anche un coerente impegno perché questa intenzione si realizzi. Se vediamo le cose in questo modo, non sarà più vero che il ministero ci impedisce di farci santi; non sarà più vero che la grande difficoltà per santificarci è proprio l’impegno ministeriale, ma sarà vero il contrario.
Questo però implica un altro discorso. Il comprendere cioè che la nostra ministerialità non è a latere della nostra identità, ma ne deve diventare la sostanza.Fare del ministero e diventare dei ministri non è la stessa cosa.
Noi conosciamo bene, per umana esperienza, che la gente serve, ma non si identifica con quello che fa. La burocrazia, per esempio, è una forma di ministero, ma manca l’intenzione di diventare servitore e difatti la burocrazia tende ad allargare il potere. Non c’è nessun potente più presuntuoso di un burocrate. Non c’è la mentalità del servire, ma quella del servirsi, dell’approfittarsene. Si fa il ministro senza voler essere ministro, si assume un compito senza voler diventare servi.
Noi siamo chiamati ad essere servi, di modo che il diventare ministrisia impegno progressivo, camminando nel quale si scoprono sempre nuove frontiere di servizio, di dedizione, di disponibilità, di dono di sé. Gesù Cristo è ministro così. «Non sono venuto per essere servito, ma per servire».
Dobbiamo tanto pensare a questo aspetto, perché se non facciamo attenzione, mentre si moltiplicano le dimensioni esteriori della ministerialità – perché ormai non si sa più che cosa non debba fare un prete, tutti i giorni si scopre un nuovo confine –, c’è il rischio di perdere il senso dell’interiorizzazione della stessa.
Occorre non fare il ministro, ma esserlo. Non rendere un servizio, ma servire, ma diventare servi, essere consumati, divorati dal servizio e non impinguare con il servizio. E questa parola «impinguare» intendetela un po’ in tutti i sensi; potrebbero essere chiamati in gioco anche quelli amministrativi ed economici. Comunque, questa ministerialità ci deve preoccupare. Se il Concilio ha riproposto con tanta solennità l’espressione: sacerdozio ministeriale – e mi ricordo che al principio c’era chi si rattristava nel sentire qualificare il sacerdozio come ministeriale perché pareva una specie di diminutio capitis – oggi ci rendiamo conto che l’espressione è molto meno banale di quanto sembri.
È invece estremamente esigente come contenuto ed impegnativa per la nostra fedeltà. Diventare servi, diventare ministri, diventare sacramento del ministero di Gesù, il quale è stato offerto ed è stato consumato fino all’estremo. Questa identificazione del sacerdozio nella ministerialità non deve essere mai separata dalla visione di quella grazia che, attraverso la ministerialità del prete, fluisce nel corpo della Chiesa e nella comunità dei credenti. La ministerialità del prete è veicolo di grazia, è essenzialmente sacramentale, ci torneremo sopra.
Il ministero totalizza la nostra vita
La ministerialità del prete è quindi proprio per sua natura non relegabile alle cose esterne, ma attraverso di esse deve arrivare a 20 mutare, a trasformare, a trasfigurare la vita del prete e quella del popolo di Dio. Credo che possiamo ispirarci ancora una volta al santo che ci siamo proposti a modello per questi giorni, il Curato d’Ars. Era un prete, ha faticato mezza vita per diventarlo, con una tenacia, una fedeltà e una crocifiggente esperienza della sua pochezza, della sua insufficienza, della sua miseria e della sua poca dovizia di mezzi umani. Era un prete, era stato folgorato da Cristo, si era abbandonato a lui, aveva capito che lui lo voleva ministro a servizio e ci si era buttato dentro. Fatto prete, per il Curato d’Ars vivere era esercitare il ministero. La sua stessa povertà umana lo spingeva a questo: non aveva altro da fare che essere prete.
Noi, a volte, crediamo di avere diritto ai nostri hobbies e in questi mettiamo non solo il tempo, ma la mente e lo spirito, alle volte il cuore.
Ma a totalizzare questa identità – «Io sono sempre e solo un prete, sono sempre e solo un ministro e il ministero è ciò che mi identifica» – facciamo fatica.
Il Curato d’Ars no, l’ha preso sul serio il ministero e avremo modo di considerare questo prendere sul serio il ministero soprattutto sotto un punto di vista che per me è il più significativo e prezioso: il ministero è diventato davvero il cammino della sua santità.
Non abbiamo programmi di vita del Curato d’Ars, ma la decisione di abbandonarsi alle esigenze pastorali era il suo programma, era la sua logica estremamente semplice ed estremamente unificante, ma anche implacabile.
Non esistevano altre ragioni per vivere, non esistevano altri criteri per scegliere che cosa fare, non esistevano altre ispirazioni per fare progetti e programmi: era alla mercè del ministero nell’atteggiamento non di chi è padrone, ma di chi è servo.
Questa dimensione totalizzante prendeva il suo tempo e i suoi interessi, era un atteggiamento inesorabile, implacabile. Pensiamo alle dimensioni del suo confessare. Un uomo che sta in confessionale dalle quindici alle diciassette ore al giorno. Roba da impazzire. Non diceva mai di no, quando c’era da esercitare il ministero sacerdotale si sentiva impegnato. Io credo che il modo in cui il santo prete ha inteso il ministero lasciandosi divorare da esso, ha un qualche cosa non solo di 21 straordinario per l’eroismo della virtù che suppone, ma forse anche qualcosa di intemperante. Quella del Curato d’Ars era una psicologia esposta ad estremismi opposti e ad insicurezze risorgenti, ma l’identificazione nel ministero era la sua forza, la sua sicurezza. Non aveva da scegliere, era scelto. Non aveva da prendere decisioni, il suo ministero le decisioni gliele presentava ed erano le sue responsabilità pastorali, quelle consuete, quelle che di solito rendono noiosa la vita del prete: sempre messa, sempre vespri, sempre sacramenti, sempre catechismo e così via. E poi, tutte le emergenze che, con il progredire della sua vita, sono diventate davvero preoccupanti per lui e intorno a lui. Ebbene, io credo che sia necessario che ci riflettiamo su.
Per una revisione di vita
Detto che il ministero è l’itinerario della santità del prete – ce lo ha detto il Concilio –, visto come il santo Curato abbia preso questa realtà totalizzante del ministero come sostanza della sua vita, come contenuto della sua vita, proviamo a interrogarci.
Com’è per noi? È vero che il dualismo ministero-santità è superato a livello della nostra mentalità e delle nostre idee? Tante volte io ho l’impressione che non sia vero.
D’altra parte, se è vera questa profonda identificazione del prete nel ministero, è chiaro che la dimensione ministeriale deve diventare criterio unificante di tutto.
Dove attinge il prete le ragioni del suo pregare?
La mia vita di preghiera personale è una cosa e il mio ministero è un’altra: lo può dire un prete?
Io temo che lo possa e lo debba dire tante volte ma non è legittimo. Allora nasce per noi una questione che non è teorica, ma pratica, quella dell’unificazione profonda della nostra vita e dei criteri di questa unificazione, che dovrebbero essere tutti radicati nella ministerialità. Anche seguendo la letteratura postconciliare a proposito di spiritualità sacerdotale e di vita sacerdotale, non ho l’impressione che abbiamo recepito fino in fondo l’insegnamento del Concilio.
Siamo ancora abbastanza disgregati e non abbiamo ancora raggiunto quella armoniosa e serena compenetrazione di tutte le ricchezze della santità sacerdotale.
In queste meditazioni dobbiamo interrogarci sul perché succede questo e l’interrogativo vorrei puntualizzarlo in alcune domande.
La prima riguarda l’insieme dei nostri interessi culturali e la nostra ministerialità.
Ho detto interessi culturali, anche se so che non sono pochi i preti che dicono che per loro la cultura è finita con il seminario e che dopo non han più letto niente e non hanno intenzione di leggere niente perché non hanno tempo, hanno il ministero che li porta via.
È un problema grosso, perché è chiaro che quando un prete nell’esercitare il ministero si esilia dalle dimensioni culturali nelle quali vive, non è più un ministro adeguato, non è più un ministro fedele, non è più un sacramento di incarnazione.
Seconda domanda che pongo come esame di coscienza: è vero che la nostra ministerialità è anche l’habitat della nostra comunione presbiteriale o è anche troppo vero che ci teniamo ad essere ognuno ministro a modo suo? Almeno il prete lasciatemelo fare come voglio: ma ha senso fare il prete a nostro modo? Non è un atteggiamento di servizio e soprattutto questo atteggiamento non è rispettoso nei confronti di una ministerialità che, radicandosi ed emergendo continuamente dal sacramento dell’Ordine, è essenzialmente comunionale. L’unità del sacramento, che è indivisibile, anche se è gerarchicamente strutturato, esige l’unità del ministero. La ministerialità è unificante, si è ministri insieme: ma è vero nella mia vita? E allora che cosa significa dare tanta importanza alle difficoltà di rapporto tra parroci e viceparroci, tra vescovo e preti? Non abbiamo giustificazioni, abbiamo solo da confessare della miseria e da riconoscere che non abbiamo ancora consumato nell’unità ciò che invece dovrebbe esserlo proprio in forza di una ministerialità sacramentale che è unificante e che porta dentro di sé, un’esigenza così forte di comunione, di fraternità, di condivisione.
Ancora una terza domanda, per il nostro esame di coscienza.
Questo nostro ministero in che modo e in che senso diventa, come dovrebbe essere, il dinamismo del nostro sentirci Chiesa, del nostro identificarci come Chiesa, del nostro sentirci un corpo solo? Quante frantumazioni in nome del ministero!
È interessante leggere nella vita del santo Curato d’Ars come questo pover’uomo, così scarsamente dotato umanamente, era disponibile per aiutare i suoi confratelli, per condividerne le preoccupazioni, per essere presente nelle situazioni difficili, per essere missionario nelle altre parrocchie. Aveva tutto un afflato che nasceva dal suo essere ministro, dal suo vivere l’unico e indivisibile ministero sacerdotale.
È bello pensare che i santi risolvono i problemi delle grandi dottrine senza neanche sapere che esistono le grandi dottrine. È meraviglioso, è la sapienza che nasce dalla santità e non quella che nasce dai libri, dai corsi, dalle speculazioni.
Che il Signore ci aiuti ad essere ministri e ci dia la gioia di esserlo. Non c’è niente di più prezioso né di più valido per un sacerdote che realizzarsi come ministro, dando al proprio ministero le dimensioni del ministero e della missione di Gesù Cristo