di Don Ferdinando Colombo Sdb
In questo Anno della fede dobbiamo cambiare il ritmo della nostra vita spirituale.
In particolare nel vivere la devozione al Sacro Cuore, noi dobbiamo orientare integralmente noi stessi, con tutto il nostro essere: la nostra anima, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, le nostre fatiche e le nostre gioie «a Gesù tutto intero».
È evidente che l’espressione «Cuore di Gesù» non elimina ma esalta la persona intera di Gesù, la sua storia, la sua decisione di donare la vita per noi.
Infatti al centro della nostra meditazione e della nostra preghiera c’è Gesù inchiodato sulla croce, con il costato trafitto dalla lancia, da cui sgorgano sangue e acqua, la “grande icona della redenzione”, segno visibile del messaggio essenziale di tutto il cristianesimo: “Mosso dallo Spirito Santo, Cristo si è offerto a Dio, come sacrificio perfetto.
Il suo sangue purifica la nostra coscienza liberandola dalle opere morte, e ci rende adatti a servire il Dio vivente” (Ebrei 9,14).
Una parola di luce di papa Pio XII
Nel 1956 per celebrare e ricordare a tutti il primo centenario dell’estensione all’intera Chiesa della festa del Sacro Cuore di Gesù, Pio XII ha scritto l’enciclica Haurietis aquas, “Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12,3), Attingerete l’acqua della vita.
Il Papa ha voluto riallacciarsi al filo ininterrotto di quella devozione che da secoli accompagna e conforta tanti cristiani nel loro cammino, ricuperando la tradizione della Chiesa e le devozioni dei secoli precedenti.
Sullo sfondo c’è la domanda che tante volte sentiamo rinascere: non basta il Culto eucaristico in cui celebriamo la donazione senza limiti di Cristo? Che bisogno abbiamo di ricorrere alla rappresentazione della persona di Cristo, al suo costato squarciato dalla lancia?
L’Enciclica sviluppa una visione della vita umana, un’antropologia, ma anche una teologia che mette al centro della nostra attenzione il fatto che siamo esseri incarnati.
È proprio nella corporeità che il Papa vede il fondamento filosofico e anche psicologico del culto al Cuore di Gesù: il corpo non sta accanto allo spirito come qualcosa di esteriore, ma è lo strumento indispensabile perche lo spirito possa manifestarsi ed esprimersi.
Il Verbo ha preso un corpo umano
Ciò che costituisce la vita biologica, nell’uomo è costitutivo anche della persona.
La persona si realizza nel corpo, e pertanto il corpo ne è l’espressione; in esso, nella sua concretezza individuale, si può vedere la realtà dello spirito che diversamente sarebbe invisibile.
Questo vale anche per Cristo: nel suo corpo umano è presente il Verbo eterno di Dio.
Il suo corpo umano ci permette di entrare in comunicazione con il Divino che c’è nella sua persona.
Per noi creature umane, la realtà divina è diventata esprimibile e visibile proprio per mezzo dell’Incarnazione del Figlio di Dio.
Perciò la Bibbia sin dall’inizio ha rappresentato il mistero di Dio, lo ha descritto con le immagini del corpo e del mondo creato che lo circonda. Per fissare le idee pensate alla meravigliosa catechesi dei dipinti della Cappella Sistina di Michelangelo.
Così la Sacra Scrittura non crea immagini esteriori al posto di Dio, ma sa servirsi delle realtà corporee come di immagini che ci permettono di risalire ai valori dello spirito, sa parlare di Dio in modo che noi possiamo capire.
Corpus Christi, il Corpo di Cristo
Gesù stesso ci ha lasciato il segno storico più sacro del suo corpo nella Santa Sindone, il grande telo venerato nella cattedrale di Torino che conserva impresse le forme, e leggibili i tratti, di un corpo e di un volto che noi crediamo di Gesù Cristo e che ci trasmette l’idea del corpo come luogo di una dignità insita nell’essere umano, di una capacità ‘sacerdotale’ di offrirsi.
Guardando al corpo di Cristo e ricordando il suo invito a cibarci del suo corpo, “vero cibo” e “vera bevanda”; rinnoviamo la fede in un corpo e un volto che, interiorizzati ci trasformano col dono della “vita eterna”. Infatti anche il nostro corpo, con l’Incarnazione di Cristo, è stato attraversato dal divino e dall’eterno, è stato “consacrato”, è divenuto “tempio dello Spirito Santo”, come dice San Paolo.
Il Dio invisibile si è fato visibile
«Un tempo, non si poteva fare immagine alcuna di un Dio incorporeo e senza contorno fisico», ricordava san Giovanni Damasceno, evocando il divieto biblico ad ogni raffigurazione della Divinità. «Ma ora Dio è stato visto nella carne e si è mescolato alla vita degli uomini così che è lecito fare un’immagine di quanto è stato visto di Dio», cioè a dire dell’uomo Gesù.
Il cristianesimo afferma in modo “estremo” che il volto divino si è concretizzato in una faccia dai lineamenti umani specifici, quella di Gesù di Nazaret. In questa linea San Paolo ci ricorda che il nostro destino futuro sarà quello di vedere Dio “faccia a faccia” (1Corinzi 13, 12): allora noi “lo vedremo così come egli è” (1Giovanni 3, 2), senza il terrore di essere accecati dalla luce infinita di quel volto.