di don Giuliano Vettorato SDB
Da alcuni studiosi viene sottolineata la dimensione soggettiva del disagio che si esprime nelle forme dell’insoddisfazione per un qualcosa di cui si pensa di essere stati privati: “soggetti che vivono in una costante situazione di tensione e bisogno di un qualcosa che dovrebbe soddisfare una interna pulsione di crescita, di libertà, di autorealizzazione” (Guidicini – Pieretti). E’ quello che, più in generale, viene chiamato il senso di “deprivazione soggettiva”: vedendo altri che hanno una cosa che io non ho, si viene presi dal desiderio di averla e si sta male se non la si può ottenere. E’ il caso classico dell’adolescente che, pur stando bene, non ha i capi firmati come i suoi compagni o il telefonino ultimo modello ed è sempre in rotta con i genitori perché non gli comprano ciò che “tutti gli altri hanno”. Giovani che pretendono di avere sempre tutto e subito e non sanno adattarsi alla realtà, oppure che non sanno che cosa vogliono veramente (scarsa chiarezza o grande genericità nell’individuazione di ciò che si ritiene fondamentale per la propria soddisfazione).
Solitudine e isolamento
Questa “asintomaticità” del disagio richiede di spostare l’interesse “sull’informale, sulla cultura, sullo psichico, sulle microfratture che si rigenerano costantemente dentro al sistema relazionale” (Guidicini – Pieretti). Alcuni giovani, dietro ad un’identità di facciata apparentemente funzionante, nascondono una notevole fragilità interna. Una certa parte di giovani ha difficoltà di adattamento all’interno della propria attività primaria (in genere scolastica). Sovente queste difficoltà hanno un fondamento relazionale.
Si tratta del disagio che nasce da situazioni, come la mancata comunicazione interpersonale, la solitudine e l'isolamento di giovani senza appartenenza, l’incapacità di alcuni ad accedere alle istituzioni, o alle opportunità offerte dal sistema economico-sociale e culturale, come il tempo libero (sport, associazionismo, turismo, spettacoli), la cultura (Internet e i nuovi media), la partecipazione sociale (partiti, sindacati, associazioni, movimenti, ecc.).
Molte di queste forme denunciano sia carenze di tipo evolutivo della personalità sia situazioni poco favorevoli dovute al sistema sociale
Se questa è la situazione di molti giovani (ma non di tutti, per fortuna), si impone la domanda: come mai queste generazioni che dovevano avere tutto per essere felici non sono riuscite nel loro intento? Dipende solo da loro, oppure anche gli adulti hanno la loro parte di responsabilità? Senza voler attribuire percentuali che difficilmente sarebbero corrette, bisogna riconoscere che molte sono le responsabilità della società in cui i giovani sono approdati.
La società contemporanea propone uno stile di vita illusorio, in cui si cerca di massimizzare il senso di onnipotenza e di piacere, presentati come mete principali da conquistare. Si lanciano messaggi del benessere senza sforzo, della prosperità immediata, della felicità priva di dedizione e di sofferenza, del “tutto e subito”, creando una visione consumistica e irreale della persona. È una promessa che sembra garantire una spettacolare entrata nella società e una eccezionale realizzazione delle proprie possibilità che, però, si fonda solo sulle parole e sulle immagini delle celebrità. Lo scontro con il mondo reale spesso provoca nei giovani una reazione di delusione che conduce all’isolamento, all’apatia e al disimpegno sia nell’istruzione sia nel lavoro.