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Immacolata Ausiliatrice (2 parte)
di Don Juan Vecchi SDB
Cresce poi la contemplazione dell'Ausiliatrice con la visione universale della Chiesa e la concezione delle opere che ne costituiscono anche una esperienza definitiva.
La costruzione del tempio va al di là di un lavoro tecnico, di una sola preoccupazione, di piani e finanziamenti.
Rappresenta per Don Bosco un’esperienza spirituale e una maturazione della sua mentalità pastorale. Don Bosco si trova attorno ai 45-50 anni, gli anni della sua maturità sacerdotale e della sua assodata proiezione sociale, con alcune opere già organizzate e altre appena iniziate. Alla fine della costruzione qualche cosa si è trasformato in Lui. Per quali ragioni?
In primo luogo perché la realizzazione supera l’idea iniziale: da una chiesa per la sua casa, il suo quartiere e la sua congregazione, si sta profilando l’idea di una basilica, meta di pellegrinaggi, centro di culto e punto di riferimento per una famiglia spirituale. La realtà gli è cresciuta tra le mani.
I problemi economici poi si sono risolti con grazie e miracoli che stimolarono una generosità non calcolata del popolo. Tutto ciò radicò in Don Bosco la convinzione che “Maria si era edificata la sua casa”, “che ogni mattone corrispondeva a una grazia” (cf MB IX, pag. 247; XVIII, pag. 338).
Affermò un sacerdote di quel tempo, il teologo Margotti: “Dicono che Don Bosco fa miracoli. Io non ci credo. Ma qui ne ebbe luogo uno che non posso negare: è questo sontuoso tempio che costa un milione e che è stato costruito in soli tre anni con le offerte dei fedeli”(Processo ordinario, I. pag. 511ss; La Madonna dei tempi difficili, pag. 118).
La costruzione coincide ed è seguita dalla fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Esse rappresentano l’allargamento del carisma al mondo femminile, col conseguente arricchimento; così come un’altra fondazione, l’Arciconfratenita di Maria Ausiliatrice è, insieme ai Cooperatori, l’estensione verso il mondo laico.
Se l’esperienza dell’oratorio aveva dato come risultato positivo la prassi pedagogica, l’opera del santuario fece emergere nel lavoro salesiano una visione di Chiesa, come popolo di Dio sparso su tutta la terra, in lotta contro le potenze del male: una prospettiva che presenterà in un’altra forma il sogno delle due colonne (1862), raffigurato oggi in un dipinto sulla parete di fondo del santuario.
Forgiò uno stile pastorale fatto di audacia e fiducia: saper cominciare con poco, osare molto quando si tratta del bene, andare avanti affidandosi al Signore. Scolpì una convinzione nel cuore della congregazione: “Propagate la devozione a Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli”... in tutti i campi, economici, sociali, pastorali, educativi.
Con la fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Don Bosco e, dopo di lui, i suoi successori e le superiore, parlarono di “un tempio vivo e spirituale”, di un “monumento di gratitudine” a Maria Ausiliatrice.
È interessante vedere cosa intendevano. “È la denominazione di una congregazione educativa, catechista e missionaria” – ha detto Madre Angela Vespa (Circolare del 24-10-1965; cf C. Colli, ib., pag. 455-456) – la denominazione di un Istituto nel quale Maria deve rivivere nelle sue Figlie in modo che la facciano presente in tutto il mondo” (Don Rinaldi: cf E. Ceria, Vita del servo di Dio..., pag. 294-295) e che ciascuna di loro sia una copia viva di Maria (Madre Luisa Vaschetti: Circolare del 24-4-1942; cf C. Colli, ibid. pag. 445).
Anche nel ramo femminile dunque il nome di Maria Ausiliatrice sottolinea il tratto apostolico, l’uscita dal villaggio e il servizio alla Chiesa e al mondo.
La fondazione delle congregazioni lasciò come risultato in Don Bosco il sentimento di essere strumento di un progetto ispirato e realizzato con una particolare mediazione di Maria: “La Madonna vuole che incominciamo una società... ci chiameremo salesiani”, dice il 26 gennaio 1854. Lo ribadirà spesso. Come quando nel 1885, rivolgendosi ai salesiani radunati nel coro della Basilica di Maria Ausiliatrice, dopo aver descritto quello che era l’Oratorio quarantaquattro anni prima ed averne fatto il raffronto con il suo stato d’allora, sottolineò che “tutte le benedizioni piovuteci dal cielo per mezzo della Madonna fossero frutto di quella prima Ave Maria detta con fervore e con retta intenzione insieme con il giovinetto Bartolomeo Garelli là nella chiesa di s. Francesco d’Assisi” (MB XVII, pag. 510-511). O ancora di più, quando durante la Santa Messa nella chiesa del Sacro Cuore a Roma, interrotta quindici volte dal pianto, ripensava alla sua vicenda e ricordava le parole del primo sogno: “A suo tempo tutto comprenderai” (MB XVIII, pag. 341).
Madre Mazzarello d’altronde soleva ripetere che l’Istituto non è altro che la famiglia della Madonna, il “focolare” che Lei si è formato. Che Lei è la superiora e ha una vicaria che ogni notte mette le chiavi della casa ai suoi piedi. Si può dunque accettare il giudizio: “Don Bosco ha sperimentato in modo del tutto singolare l’intervento di Maria nella guida di tutta la sua vita e nella realizzazione della sua opera.
Al tramonto della sua esistenza terrena, dopo l’ennesimo intervento della Madre celeste, Don Bosco condensa in questa espressione la convinzione che ha maturato durante tutto il corso della sua vita: Finora abbiamo camminato nel certo. Non possiamo errare. È Maria che ci guida” (cf. Colli, ib., pag. 433-434).
Da questa esperienza carismatica ci viene un testo di vita spirituale e di stile pastorale che appare abbondantemente nelle nostre Costituzioni.
Rileggendo nella fede la storia dei nostri Istituti e della Famiglia salesiana, vediamo che Maria è stata l’ispiratrice dell’impresa e anche la Madre della nostra vocazione comunitaria e la Maestra della nostra spiritualità (cf FMA C 4; cf SDB C 1).
La nostra vocazione personale e la nostra formazione ha in Lei un modello, una guida e un’educatrice. “In Lei troviamo una presenza viva e l’aiuto per orientare decisamente la nostra vita a Cristo e rendere sempre più autentico il nostro rapporto con Lui” (FMA C 79; cf SDB C 98).
Perciò Le riserviamo un luogo privilegiato nella nostra preghiera: “Ricorreremo a Lei con semplicità e fiducia celebrando le sue feste liturgiche e onorandola con le forme di preghiera proprie della chiesa e della tradizione salesiana” (FMA C 44; cf SDB C 92).
Tutto ciò porta a farla sentire presente nell’educazione dei giovani e nella pastorale in mezzo al popolo. “Le aiuteremo a conoscere Maria, Madre che accoglie e comprende. Ausiliatrice che infonde sicurezza, perché imparino ad amarla ed imitarla, nella sua disponibilità a Dio e ai fratelli” (FMA C 71; cf SDB C 34).
La medesima fisionomia spirituale è stata rappresentata nel quadro dell’altare maggiore della Basilica. Della nostra spiritualità, esso comunica bene l’unità fra il senso dell’iniziativa di Dio e la nostra intraprendenza pastorale.
La nostra vocazione viene dal Padre e per Lui noi ci dedichiamo al lavoro educativo. Comunica immediatamente anche il senso ecclesiale, di servizio: partecipiamo alla missione della Chiesa e lavoriamo in essa, attenti alle sue urgenze ed orientamenti. Raffigura bene pure l’impegno missionario di evangelizzazione. E anche la modalità della nostra presenza educativa: materna, protettrice, preventiva.
Abbiamo voluto vivere un anno giubilare segnato dall’interiorità. Oggi, sentendoci in comunione con tutti i salesiani del mondo, lo concludiamo ravvivando la fede nella efficace presenza del Verbo nella nostra storia e in particolare a favore dei giovani, guardando dunque con fiducia il tempo che ci attende e guardando verso Maria come Colei che per opera dello Spirito Santo continua a donare Gesù a noi e ai giovani.
Per questo faremo l’atto di affidamento con le parole più semplici e conosciute: quelle che sono già storia. Anche noi crediamo che tutto lo farà Maria. Rinnoviamo dunque il proposito di vivere in comunione con Lei e di diffondere nei giovani e nel popolo la sua devozione.