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XVII Domenica del tempo ordinario
di padre Ermes Ronchi
Il miracolo del pane è l’unico presente in tutti e quattro i Vangeli.
Marco e Matteo ne riportano addirittura due redazioni. Si tratta, evidentemente, di un evento decisivo per comprendere la vicenda e il messaggio di Gesù. Il miracolo del pane racconta qualcosa di molto più grande e bello che non la semplice moltiplicazione di cinque pani e due pesci.
Più che un miracolo è un segno, fessura di mistero.
Il racconto è pieno di simboli bellissimi:
è ormai primavera, tempo di Pasqua;
c’è il monte grande simbolo della casa di Dio;
c’è molta erba che richiama i pascoli, e il Salmo del buon pastore;
ci sono i numeri: cinque pani e due pesci formano il sette, simbolo della pienezza;
c’è il pane d’orzo, pane di primizia perché l’orzo è il primo dei cereali che matura, primo pane nuovo;
e c’è un ragazzo, neppure un uomo adulto, una primizia d’uomo.
Un Vangelo pieno d’inizi, pieno di gemme che fioriscono per grazia.
Modello del discepolo oggi è un ragazzo senza nome e senza volto, che dona ciò che ha per vivere, che con la sua generosità innesca la spirale della condivisione, vero miracolo. Il problema del nostro mondo non è la penuria di pane, ma la povertà di quel lievito che incalza e spinge a condividere, a diventare sacramenti di comunione. «Al mondo, il cristiano non fornisce pane, fornisce lievito» (Miguel de Unamuno). E ci sono anche i dodici canestri di pezzi avanzati, uno per ogni tribù, segno di abbondanza dalla quale nessuno è escluso; parola sulle cose: non devono andare perdute perché sono sacre, una santità è iscritta perfino nella materia, perfino nelle briciole del pane. Prese i pani, rese grazie e li distribuì: tre verbi che ci ricollegano subito a ogni Eucaristia. E mentre lo distribuiva, il pane non veniva a mancare, e mentre passava di mano in mano, restava in ogni mano. Il Vangelo neppure parla di moltiplicazione ma di distribuzione. «Credo sia più facile moltiplicare il pane, che non distribuirlo. C’è tanto di quel pane sulla terra che a condividerlo basterebbe per tutti» (David Maria Turoldo). Gesù rifiuta di essere fatto re ma non rifiuta l’acclamazione a profeta. La profezia gli si addice: è bocca di Dio e bocca dei poveri. Ma dal potere, da tutto ciò che circonda il nome di re, fugge lontano. Non il potere, dunque, ma la profezia per me cristiano, per l’intera Chiesa: essere bocca di Dio e voce dei poveri è il lievito buono che il cristiano fornisce al mondo. Ascolta la lettura del Vangelo con il commento di Fernando Armellini