DON RUA, ESPRESSIONE E SVILUPPO DELLA FEDELTÀ A D.
BOSCO
di Francesco Motto
INTRODUZIONE
Succedendo come Rettor Maggiore a don Bosco nel 1888 don Michele Rua aveva
davanti a sé tre possibilità:
* non essere all’altezza del fondatore, e quindi far regredire la società
salesiana
* mantenere esattamente le posizioni raggiunte, lasciare più o meno le cose
come stavano
* sviluppare la società salesiana, seguendo il trend positivo impresso
da don Bosco
Alla prova dei fatti, alla prova inoppugnabile dei numeri, don Rua pur
sentendosi vincolato dall’invito prudenziale di don Bosco a non avviare nuove
fondazioni subito dopo la sua morte, invito ribaditogli anche dal papa Leone
XIII, non poté resistere alle numerose richieste di fondazioni e dunque
perseguì la terza possibilità, ossia sviluppò ulteriormente la società
salesiana secondo il movimento impressole da don Bosco.
Infatti alla morte del fondatore
L’entusiasmo per Don Bosco e la sua opera di rigenerazione della società
attraverso l’educazione e la formazione dei giovani ha richiamato e
galvanizzato schiere di vocazioni maschili e femminili; l’appoggio sincero dato
a don Rua dai salesiani della prima ora che, cresciuti con lui all’Oratorio,
avevano condiviso le responsabilità di governo e di animazione della società
salesiana, hanno avviato a cavallo del secolo quello che un giorno papa Paolo
VI avrebbe definito “il fenomeno salesiano.
Don Rua era stato fedele allievo di don Bosco per una decina di anni e
poi per oltre 20 (dal 1865 al 1888) fedele braccio destro. Volle
essergli fedele ancor più da suo successore. Lo disse e scrisse per
tutta la famiglia salesiana a due mesi dalla sua entrata in carica. Si
impegnava personalmente e chiedeva che tutti si impegnassero nella fedeltà a
don Bosco secondo tre particolari prospettive:
1. fedeltà come sostegno e a suo tempo sviluppo delle opere da lui
iniziate
2. fedeltà come seguire fedelmente i metodi da lui praticati ed insegnati,
3. fedeltà nel cercare di imitare il modello don Bosco nel modo di
parlare e di operare .
Presenterò
questa fedeltà procedendo in modo inverso, ossia dal punto tre al primo punto
uno, in quanto questo è il più importante ed appariscente e su di esso mi
soffermerò più lungo.
1.
Fedeltà nel cercare di imitare il modello don Bosco nel modo di parlare e di
operare, ma con una propria personalità
Il terzo
aspetto - imitare il modello don Bosco nel modo di
parlare (ma anche di operar) - - è piuttosto facile da dimostrare. Durante
il suo lungo Rettorato, le testimonianze, le cronache delle case e dei suoi
viaggi, i discorsi e gli omaggi a lui indirizzati in tali occasioni, gli
articoli scritti su di lui lo hanno sempre presentato come “un altro don
Bosco”, “il ritratto di don Bosco” “una reliquia vivente di Don Bosco”. Insomma
una specie di clone o fotocopia di don Bosco così precisa che a questo punto ha
rischiato di far scomparire la sua personalità, la sua azione che invece è ben
distinta da quella di don Bosco.
Diverso anzitutto infatti il contesto storico in cui è vissuto (nato e
morto 22 anni dopo, il famoso 48 era passato da 40 anni, Cavour Garibaldi,
Mazzini, Vittorio Em. TI, Pio IX erano morti, anche se rimaneva aperta la
“questione romana”). Erano anni di crescita demografica, di decollo industriale
di molti paesi con la conseguente richiesta di mano d’opera specializzata,
di’aumento del bisogno d’istruzione di base, di crisi economiche che incentivano
l’emigrazione, di incapacità dei partiti politici, delle istituzioni statali di
rispondere alle esigenze del mondo adolescenziale e giovanile.
Diverse tante altre
situazioni: origini familiari, costituzione fisica, temperamento,
portamento, formazione intellettuale, tipo di intelligenza, modo di essere, di
agire, di leggere i segni del tempo, diverse l’educazione ricevuta, la
formazione spirituale e sacerdotale, le esperienze di vita e di conseguenze
diverso sarebbe stato il suo modo di governare una congregazione in rapido
sviluppo ecc.
Insomma: don Rua è stato don Rua, non don Bosco, anche se ha fatto di tutto e è
riuscito a imitare il modello. E’ stato “un altro don Bosco”, ma anche “altro”
da don Bosco.
2. Seguì fedelmente i metodi
praticati ed insegnati da don Bosco, ma anche sviluppandoli ed arricchendoli
a. Quanto
alla seconda prospettiva - seguire
fedelmente i metodi praticati ed insegnati da don Bosco - - don Rua fu
ben consapevole anzitutto del valore dell’eredità pedagogica per aver
vissuto accanto a lui per decine di anni. Intese dunque conservarla,
sostenerla e diffonderla, senza però con ciò pregiudicare forme di
innovazione, rese necessarie dalla legislazione dell’epoca e dai bisogni del
nuovo secolo. Significativo nel 1910 il famoso motto del consigliere
professionale generale, don Giuseppe Bertello: “con i tempi e con Don Bosco”.
Del “sistema preventivo” don Rua si fece promotore in tutti i modi, ma ne sviluppò
e approfondì virtualità ed intuizioni. Del metodo mise in evidenza gli aspetti
educativi e disciplinari (assistenza come preservazione e protezione) e contro
“la piaga del secolo” (l’educazione senza religione) ribadì gli aspetti
religiosi e morali, raccomandò la sorveglianza sulle “letture pericolose” per
la castità giovanile, rimandando ai mezzi sacramentali piuttosto che a
discutibili orientamenti che si definivano “moderni”.
b. Altrettanto don Rua fece sotto il profilo spirituale, con un’applicazione forse pù
rigorosa ed estesa, corrispondente alla sua naturale predisposizione e
formazione.
Se sul piano teo1oico-dogmatico infatti don Rua si tenne estraneo a innovative
convinzioni scientifiche acquisite dall’esegesi e dal metodo critico-storico
applicato alle origini cristiane - il famoso modernismo - , sul versante
teologico fu invece favorevole ad un benignismo che non compromettesse
l’ineludibile ascetica del cristiano in genere e del religioso in particolare.
Dove appunto maggiormente si evidenziò la personalità spirituale di don Rua fu
la sua preferenza per l’ascesi . Essa che sembra costituire un strappo alla
maggiore affabilità e flessibilità di don Bosco, viene poi “recuperata” al
genuino spirito salesiano dalla necessità della “santa allegria; come dono di
Dio. Non per nulla don Rua riuscì a coniugare l’innata austerità con una
paternità piena di delicatezze, tanto da essere definito già in vita non
solo “un santo” ma “un sovrano della bontà”.
Difensore di una spiritualità - o di una religiosità, per dirla con Pietro
Stella - di una forma di vita spirituale semplice e quotidiana, le pratiche di
pietà da lui promosse e sostenute riflettono, sull’esempio di don Bosco,
l’essenzialità dell’ordinario vivere cristiano fondato sul rapporto personale
con Dio e si congiungono con le più diffuse devozioni dell’ottocento italiano
ed europeo.
Primeggia quella del Sacro Cuore, in cui don Rua - che il 31 dicembre
del 1900 consacrò
Le minuziose e precise regole di comportamento ascetico da lui dati, i suoi
consigli tanto scheletrici e quasi freddi tanto da sembrare burocratici - ma in
realtà frammenti essenziali di norme sapienziali pedagogiche sulla traccia
delle intuizioni del Sistema preventivo - hanno prodotto dei santi, sia fra gli
educatoci - don Augusto Czartoryski (1858-1893), e madre Maddalena Morano
(1847-1908) - che fra gli educandi: Ceferino Namuncurà (1886-1905) e Laura Vicuña
(1891-1904).
3.
Fedeltà come sostegno e a suo tempo sviluppo delle opere da lui iniziate
A. Antiche e nuove forme di governo e di animazione
Nonostante invito e decisione di non
procedere all’apertura di nuove opere, onde consolidare quelle esistenti e
preparare adeguatamente il personale, disse di sì a sempre nuove fondazioni perché
richieste dal Papa, da capi di,Stato, da autorità religiose.. La società
salesiana dell’epoca era infatti ancora agli
albori, le strutture di formazione era ancora aleatorie, volontaristiche
e le strutture di governo, costituite in tempi di poche case e poche decine di
membri, erano da adeguare ad una società religiosa che stava rapidamente
diventando una multinazionale di istituti educativi.
Si pose così l’indita sfida di dover conciliare la centralizzazione del governo
per determinate decisioni di competenza del Capitolo Generale e al Consiglio
Superiore, cui poter riservare l’ultima parola e l’altrettanta necessaria decentralizzazione
del medesimo governo attraverso la creazione d’ispettori ispettrici rappresentanti
del Superiore e della Superiora generale. Si trattava cioè di regolarizzare le strutture
di governo centrale con la definizione dei diritti e doveri delle autorità
subalterne.
a. Don Rua lo fece anzitutto attraverso le decisioni
prese da parte dei sei Capitoli Generali
da lui preparatati, convocazione, presieduti e soprattutto
verificati nella messa in pratica delle decisioni prese. La società salesiana
acquistò così, grazie anche al talento organizzativo di don Rua, la struttura
giuridica delle grandi congregazioni religiose: si approvarono regolamenti
delle diverse attività e uffici, si trattarono tutti i grandi temi del governo
e dell’animazione della società alla luce del “così faceva don Bosco” e del suo
insegnamento.
b. In secondo luogo notevole strumento di governo e di
animazione fu per don Rua la corrispondenza. Lettere di ogni genere a
tutti in cui non fece proclami solenni né diede direttive particolarmente alte,
se non quelle suggerite dalla tradizione salesiana e dalla comune fede
cristiana. Attraverso le lettere creò un profondo rapporto e un coinvolgimento
molto stretto e personale con i corrispondenti atto a favorire unità e
solidarietà fra tutti.
c. Infine fece affidamento su decine di visite alle case
d’Italia e su una dozzina di lunghi viaggi dalla Spagna all’Ucraina,
dall’Inghilterra alla Terra Santa e al Nord Africa. è stato calcolato che ha percorso complessivamente 100 mila
km, oltre due volte il giro del mondo, per lo più negli scomodi treni
dell’epoca, spesso in terza classe. Fu assente da Torino per almeno 4 anni.
Don Rua considerò i viaggi uno strumento utile per conservare fra i salesiani e
le Figlie di Maria Ausiliatrice lo spirito di don Bosco, oltre a trattare affari
relativi alla società salesiana, inaugurare case, approvare progetti verificare
l’applicazione delle disposizioni capitolari, animare i Cooperatori, chiedere
sussidi economici ai benefattori. Un’attività faticosissima, ma che ritenne di
dover sostenere per la “gloria di Dio e salvezza delle anime”.
Don Rua non visitò l’America ma allargò gli orizzonti con l’apertura di
difficilissime missioni tra gli indigeni Bororo del Mato Grosso in
Brasile e gli Shuar dell’Ecuador: vi mandò poi come suo rappresentante e
visitatore spirituale don Paolo Albera, futuro suo successore.
Come tutti i santi, non ebbe vita facile.
B. Antiche e nuove forme di apostolato fra i giovani
a. mondo del lavoro
Se l’orfano di padre e contadino don
Bosco si era interessato del mondo del lavoro artigianale dei suoi anni,
l’orfano di padre operaio e cittadino Michele Rua si interessò molto del mondo
del lavoro: gli anni a cavallo del secolo XX erano quelli del fenomeno dell’industrializzazione
che acuì la cosiddetta “questione sociale”, alle cui soluzioni radicali o utopistiche
proposte dalla diffusa dottrina socialista e sindacale dell’epoca inaccettabili
alla Chiesa, che nel 1891 rispose con l’enciclica Rerum Novarum. Essa ebbe
vasta eco nel mondo cattolico, dava grande importanza alla questione operaia;
la stessa legislazione civile spingeva nella direzione di una formazione più
completa del lavoratore.
Ancora vivente don Bosco, i salesiani si erano posti il problema di riformare i
laboratori fondati nei decenni precedenti, trasformandoli in vere e proprie
scuole professionali, capaci non solo di insegnare rapidamente un mestiere, ma
anche di offrire una più ampia cultura generale e un’acquisizione di competenze
necessarie a fasi successive della produzione industriale. Proprio sulla spinta
dell’enciclica, i salesiani cominciano così a dividere il tempo scuola in ore
dedicate alla formazione culturale e altre consacrate all’apprendimento del lavoro,
inseriscono nei loro programmi un programma di “Sociologia” in cui si dà spazio
a temi come i diritti del lavoratore, lo sciopero, i caratteri e gli errori del
capitalismo e del socialismo, e altri
argomenti legati alla “questione sociale”.Alla morte di don Bosco tali scuole
erano 14, nel 1910 già 53.
Non mancarono attriti. Nel
1902 fu approvata la legge che proibiva il lavoro minorile. Ne seguì anche una
polemica contro i salesiani, accusati di gestire “opifici industriali” anziché
scuole, cioè di sfruttare il lavoro dei propri studenti, in quanto i lavori
eseguiti nella “cittadella” di Valdocco in parte erano immessi nel mercato e in
parte servivano alle esigenze della comunità educativa. I libri stampati nella
tipografia erano, ad esempio, i libri stessi che utilizzavano gli studenti
dell’Oratorio, tra cui moltissimi erano i titoli usciti dalla penna stessa di
don Bosco. La polemica, per quanto capziosa e anche ricorrente, spinse
ulteriormente i salesiani nel primo decennio del Novecento a orientarsi sempre più
verso una riforma dei programmi. Comunque, al di là di qualche polemica locale
e isolata, le opere dei salesiani in genere riscuotevano più apprezzamenti che
critiche. Se nell’esposizione italiana di Torino del 1884, lo stand dei
laboratori di don Bosco aveva destato impressione per la professionalità
dimostrata, in quella del 1910, un giornalista della Stampa, certamente
non tenero con le opere cattoliche, scrisse : «Noi, come ogni visitatore
equanime e sincero, potremo trarre conclusioni ben confortate da speranze di un
risveglio intelligente e razionale delle nostre maestranze, quando i sistemi
adottati in queste Scuole e i loro principi pratici vengano attuati su larga
scala nell’educazione ed istruzione operaia».
Era insomma un invito allo Stato a prendere esempio dal modello salesiano. La
legge del 1912, con cui lo Stato regolamentò per la prima volta l’insegnamento
scolastico professionale, recepì molto dall’esperienza salesiana. La legge
Casati del 1859 non aveva neppure nominato le scuole di arti e mestieri e che
lo Stato, per tutto l’Ottocento, non aveva mai ritenuto di doversene occupare
seriamente.
Don Rua incentivò poi la creazione di circoli
oratoriani per giovani più grandi da inserire, cristianamente attrezzati ne1 mondo
del 1avoro in crescente laicizzazione, promosse i convitti per le operaie presso
le Figlie di Maria Ausiliatrice. Società operaie lo onorarono come loro membro
ed in alcuni congressi cattolici si elevarono voci di grande apprezzamento per
la sua persona e la congregazione salesiana.
b. Il mondo Oratoriano
La fedeltà creativa di don Rua si
manifestò anche nel grande rilancio degli , oratori, alla sua morte si ebbero
in Italia una novantina di Oratori festivi, distribuiti disomogeneamente in
tutte le regioni, per lo più accanto ad altre case salesiane. In Europa dai 29
oratori presenti alla morte di don Bosco, si passò ai 54 nel
L’immensa fioritura di opere a carattere sociale, (orfanotrofi, collegi-convitti,
scuole professionali e agricole, parrocchie di periferie), prima dei quali
l’Oratorio, dovettero fare affidamento, donboschianamente, su coraggio ed
intraprendenza, in quanto non mancarono difficoltà, specie nella fase di
avvio, per il cumulo di problemi pratici da risolvere, sovente di mezzi
(alloggi di fortuna, ambienti inadatti, disponibilità economica ridotta
all’osso) o inaspettate resistenze da parte del clero locale o previste, vivaci
opposizioni degli anti-clericali. Il che non significò però carenza di successo
presso la gioventù dei ceti popolari, se è vero che gli Oratori riuscirono ad
aggregare fra iscritti e frequentanti, chi decine, chi centinaia e in qualche
caso un migliaio di soggetti, con tutto quello che ciò significava in termini di
organizzazione di una normale giornata festiva, che non si voleva lasciare
priva di interessi in nessun momento.
a. Per tutto il lungo rettorato non smentì mai il suo
interesse per l’Oratorio. Lo fece anzitutto con le lettere ai salesiani, in
metà delle quali trovò il modo non solo di richiamare la fedeltà alla
tradizione salesiana circa obiettivi, metodi, strumenti, condizioni di
un Oratorio, ma anche da ribadire alcune idee che l’evoluzione dei tempi
sembrava mettere in crisi, come ad esempio la necessità che gli aspetti ludici e
artistici (gioco, musica teatro) pur importantissimi, non assurgessero a fine
dell’Oratorio, rimanendo semplici mezzi. In ciò gli venne in aiuto la
pubblicazione del Catechismo di Pio X con tutte le sue pratiche implicanze a
livello di catechismo diffusione di libri e fascicoli apologetici, con cui raggiungere anche le famiglie degli
Oratoriani. Inoltre dovendo confrontarsi con le problematiche del mondo del
lavoro, promosse una prima ampia evoluzione della vita e della prassi dell’Oratorio
festivo con interessanti aperture alle nuove problematiche sociali, quali
l’aggregazione dei giovani Oratoriani ai Circoli operai cattolici e alla Cassa
di Risparmio, la fondazione di Circoli per i giovani dai 16 ai 30 anni, quale
sbocco delle tradizionali associazioni e compagnie per ragazzi di età
inferiore.
b. Nel corso dei 6
Capitoli Generali non mancò quasi mai una riflessione, un dibattito, un
voto, una deliberazione a proposito dell’Oratorio festivo in quanto la fede e
la moralità dei giovani delle periferie cittadine ma anche i loro diritti retributivi e assicurativi erano
messi a dura prova dalla vita nelle officine e negli opifici. Si deliberò, di
tenere periodicamente conferenze di indirizzo sociale sopra il capitale,il
lavoro, la mercede, il riposo festivo, gli scioperi, il risparmio, la proprietà
ecc., evitando sempre le suscettibilità politiche, divulgando periodici e
libretti adeguati allo scopo e regalando come premi libretti delle pubbliche
casse di risparmio. Il direttore dell’Oratorio avrebbe dovuto curare la
collocazione degli allievi presso datori di lavoro in grado di offrire garanzie
sotto il profilo morale, rimanendo in contatto con loro per avere
informazioni sulla condotta dei giovani lavoratori e coordinando la sua azione
con i parroci e le associazioni cattoliche.
c. Don Rua promosse e partecipò a vari “Congressi
nazionali degli Oratori” Oratori festivi e delle Scuole di Religione (1902, 1907, 1909). Frutto del
primo, tenutosi a Brescia nel 1900 per iniziativa dei Padri Filippini, fu la
costituzione a Torino di un Comitato permanente dei congressi oratoriani (e
delle Scuole di religione per gli studenti medi e universitari), comitato
presieduto dal salesiano don Stefano Trione, che promosse una serie di altri
congressi nel nuovo secolo, con pluralità di voci: sacerdoti, laici, religiosi,
religiose, esponenti dei movimenti ecclesiali dell’epoca, sempre con la
presidenza onoraria di personalità ecclesiali (cardinali, vescovi) e quella
effettiva di don Rua.
Don
Rua ne presiedette due, il 2° (Torino 1902) e il 3° (Faenza 1907). Quello di
Torino ebbe a riflettere sui maggiori
problemi organizzativi, pedagogici, religiosi, sociali degli oratori,
con un’ interessante disamina sul versante femminile, ma lasciò scoperti invece
i settori socio-assistenziali e delle attività
ricreative, che invece furono al centro di quello di Faenza, a due anni di
distanza dall’enciclica di Pio X, Acerbo nimis, del 15 aprile 1905, con cui il papa
sollecitava a predisporre nei giorni festivi un’ora di catechismo per i
fanciulli, a erigere tra i laici di ogni parrocchia
Al IV congresso di Milano (1909) il salesiano don Domenico Finca affrontò il
tema del notevole impulso che, col passare degli anni, aveva avuto le
principali sezioni ricreative dell’oratorio (ginnastica, filodrammatica,
musicale). Se in numerosi Oratori salesiani, già sul finire del secolo, dal
gioco si era passati facilmente ai gruppi ginnici,
dalla ginnastica il passo fu relativamente breve verso l’apertura a sport come
l’atletica leggera e il calcio in notevole espansione. Analogo discorso svolse
il salesiano per le attività espressive, con la filodrammatica che si era
andata sempre più consolidandosi, tanto da costituire elemento di costante
attrattiva un po’ in tutti gli oratori e con i direttori di Oratorio che
cercavano di garantirsi un salone teatro per una recitazione valida sia per
l’intrattenimento che per la rilevanza educativa. Banda, fanfara, orchestrina
musicale, gruppo corale erano in pieno sviluppo e potevano legittimamente
inorgoglirsi dei successi ricevuti in occasione delle feste cui erano chiamati.
Nell’incontro milanese si accennò, per la prima volta, a due problemi, di segno
diverso, ma ugualmente destinati a molte discussioni, anche in casa salesiana:
le proiezioni cinematografiche e il rapporto con le associazioni giovanili
cattoliche.
In sintesi con il rettorato
di don Rua dunque si porta a maggior maturazione e profondità la dimensione,
socia1e dell’educazione oratoriana e la presenza nel campo del pre-politico.
L’oratorio tende ad estendersi maggiormente “verso la periferia”, grazie anche
al settore ricreativo (ginnico-sportivo), alle iniziative socio- culturali,
tese a favorire l’inserimento responsabile dei giovani oratoriani nella
società, incominciando dal mondo del lavoro. L’influsso oratoriano raggiunge
molti ambienti di vita del giovane, dalla famiglia alla scuola, dal quartiere
al luogo di lavoro, assumendo così una funzione moralizzatrice e civilizzatrice
del territorio. Aumenta l’attenzione alle fasce di età superiori a quelle dell’oratorio
donboschiano (7-12), difficili da trattenere una volta doppiato il capo dei
sacramenti della iniziazione cristiana.
c.
Il mondo dell’emigrazione
La corrente migratoria italiana,
iniziata dopo la metà dell’ottocento e proseguita con una parabola ascensionale
fino al secondo decennio del novecento, coinvolse oltre 14 milioni di
connazionali. L’epoca del rettorato di don Rua corrispose alla stagione della
massima emigrazione italiana, per cui in risposta alla crescita e alla
direzione delle correnti migratorie, in collaborazione tanto con settori
istituzionali della società italiana quanto in sintonia con la linea preventiva-assistenziale
del mondo ecclesiastico, don Rua moltiplicò in estensione, iniziative e impiego
di risorse umane la solidarietà dei salesiani con gli emigrati
a. La spinta di mons. Scalabrini, che tenne alto
l’ideale di una sempre migliore assistenza agli emigrati italiani, si sommò a
quella dei salesiani che sentivano sulla propria pelle di sacerdoti, educatori
e missionari, la responsabilità di pastori verso quanti, per qualunque motivo,
si trovavano sradicati religiosamente e culturalmente dai tradizionali
riferimenti dell’identità sociale e religiosa.
b. Del resto don Bosco era stato antesignano
dell’apostolato fra gli emigrati dell’America Latina e lo stesso don Rua da
ragazzo aveva convissuto a Valdocco con compagni emigrati, da giovane sacerdote
li aveva seguiti nella loro crescita e da braccio destro di don Bosco negli
anni settanta ed ottanta aveva sofferto sulla propria pelle le problematiche
dei missionari salesiani fra gli emigrati soprattutto italiani dell’America
Latina.
c. Si servì del BS
che dal febbraio 1902 mensilmente divulgava mensilmente utili informazioni
relative all’attività salesiana, alle condizioni materiali e spirituali degli
emigrati e alla legislazione migratoria dei paesi d’arrivo. Sollecitò una
riflessione sul fenomeno emigratorio nel corso di tutti i Capitoli Generali e
nei Congressi nazionali ed internazionali dei Cooperatori salesiani che si celebravano
in quegli anni, ad iniziare dal primo e più famoso, quello tenutosi a Bologna
nel 1895 che aveva
avanzato ai cooperatori proposte operative per l’assistenza degli emigrati nei
porti di imbarco, nei luoghi di passaggio e di residenza. Il Congresso
successivo (Buenos Aires, 1900) definì meglio la linea d’azione. Nel corso del
terzo Congresso (Torino 1903) mons. Cagliero ricordò gli oltre 100 mila
italiani assistiti dai salesiani a Buenos Aires, quelli altrettanto
numerosi di Rosario di Santa Fé ed i più di 300.000 di San Paolo.
d. Dal punto di vista geografico si può affermare che
nel primo quindicennio (1889-1904) considerato in Europa si assistettero in
tutti i modi loro possibili gli italiani in Svizzera, Germania,Belgio a Liegi; i salesiani
eressero opere assistenziali in Nord Africa in Tunisia, Egitto e sud Africa, in
Asia, Gerusalemme, Smirne e Costantinopoli. Massiccia l’azione in Argentina e
Brasile, oltre a 5 parrocchie negli USA. Per uno sguardo sintetico
dell’America il Quadro Statistico deg1i emigrati italiani assistiti ed
istruiti nelle due Americhe [...] durantel’anno 1904 ricorda dai
1050 missionari salesiani presenti in 110 case e 700 Figlie di Maria
Ausiliatrice sparse in 60 case, oltre 450 mila gli assistiti, di cui 40 mila
oratoriani e 50 mila alunni interni ed esterni.
e. Un forte rilancio si ebbe nel 1904 con la creazione
di una Commissione salesiana dell’emigrazione sorta nel corso del Capitolo
Generale X, per cui se la massa della popolazione assistita era sempre di circa
400/450.000 persone (150 mila in Argentina, 100 mila in Brasile, 60 mila in
Uruguay, 70 mila negli Usa e 35 mila in Europa) e gli allievi superavano
la ragguardevolissima quota di oltre 8.000, divisi in un centinaio di opere (
f. Un ulteriore passo avanti si ebbe con la
partecipazione alla Federazione
Cattolica Italica Gens (1909), emanazione dell’Associazione Nazionale
Missionari
Italiani, che in meno di un anno poteva registrare 66 Segretariati salesiani:
America,
Don Rua moriva nell’aprile 1910 e al momento del cambio di guardia ai vertici
della società salesiana si può affermare che tanto la stagione migratoria
italiana quanto l’azione salesiana pro emigrati erano alla loro massima
espressione.
La multiforme assistenza salesiana a favore degli immigrati si è declinata
secondo quattro particolari tipologie.
- Prima di tutto la dimensione esplicitamente religiosa per la quale i missionari
salesiani avevano lasciato il loro paese. In essa rientrano le parrocchie e le
cappellanie giornaliere e festive in chiese e cappelle (spesso costruite ex
novo), l’amministrazione dei sacramenti, le celebrazioni liturgiche e
paraliturgiche, la catechesi parrocchiale e per gruppi, l’assistenza agli
infermi in famiglia e negli ospedali, la cura spirituale dei detenuti, il
collocamento di anziani nei ricoveri e di orfani negli istituti di beneficenza,
la distribuzione di generi di prima necessità e di sussidi ai più poveri, la
promozione di gabinetti di lettura e di biblioteche circolanti. Dalla chiesa,
cappella o collegio salesiano si diramavano poi le “missioni” verso le colonie
sprovviste di regolare assistenza tanto nell’Argentina centro meridionale
quanto nel Brasile, in Uruguay, negli Stati Uniti e nell’Europa transalpina.
- In secondo luogo i salesiani si impegnarono molto in
ambito sociale, con l’accoglienza specie notturna degli emigrati di passaggio
nelle città portuali di partenza e arrivo, l’assistenza ai circoli operai cattolici,
la promozione e gestione delle Società di mutuo soccorso e dei Segretariati del
popolo (spesso più di fatto che di nome).
- In terzo luogo i salesiani promossero e diffusero la
stampa
cattolica. Essa si rivelò uno dei mezzi più moderni ed efficaci per informare
ed educare masse popolari vicine e lontane, per ovviare ai problemi della
lingua, per difendere la religione cattolica soprattutto in risposta al
giornalismo anticlericale che in abbondanza circolava nelle comunità italiane.
Il settimanale Cristoforo Colombo in Argentina,il settimanale L
‘Italiano in America, edito a New York, e successivamente
- Quello della buona stampa fu
uno degli ambiti di maggior interesse di don Rua. Durante il
rettorato di don Rua furono oltre una cinquantina i periodici formativi,
informativi, propagandistici, scolastici, settimanali e mensili.
- Infine i salesiani dell’epoca, in perfetta
corrispondenza con le finalità educative della Congregazione, coltivarono ancor
più decisamente, oltre ovviamente gli Oratori, con le classiche attività di
formazione e tempo libero, l’istruzione scolastica declinata in mille
maniere: asili per infanti, scuola elementare diurna per minori ed adulti
(uomini e donne), di arti e mestieri, di agricoltura, tecnico-commerciale, di
religione in scuole statali. Scuole, anche se informali, erano poi quelle di
musica strumentale e vocale, di recitazione, di formazione sociale, di taglio e
cucito.
d. mondo delle missioni
In 22 anni si ebbero ben 31
spedizioni missionarie e si lanciarono nuove Missioni tra i Kivari in Ecuador e
tra i Bororo nel Brasile. Lo stesso si dica dell’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, che nel 1910 contavano 2716 suore, 320 case sparse in 22 paesi. I
Cooperatori dal canto loro raggiunsero i 300 mila. Nel 1906 i missionari
salesiani raggiunsero l’India e
e. mondo della scuola umanistica...
C.
Forze in campo, oltre ai salesiani
a. Figlie di Maria Ausiliatrice
In un momento di enorme sviluppo internazionale
dell’Istituto delle FMA don Rua con incontri personali ela nutritissima corrispondenza offrì orientamenti
e consigli r ogni esigenza e richiesta: trattative per apertura e chiusura di
case, nomina di superiore capaci di gestire la fase di insediamento ed il primo
sviluppo delle opere, definizione di diritti e doveri degli ispettori e
direttori salesiani rispetto alle visitatrici, direttrici salesiane e singole
Figlie di Maria Ausiliatrice, convocazione, presidenza ed assistenza ai
Capitoli Generali, approvazione di elezioni, spedizioni missionarie,
trasferimenti di suore, autorizzazione per viaggi e ricevimento di professioni,
costruzioni ed ampliamenti edilizi, visite straordinarie in famiglia, permessi.
In tale corrispondenza “d’ufficio” è degna di ammirazione la discrezione di
tratto e del linguaggio. Mai imperativo, don Rua abbonda nell’uso dei
condizionali (sarebbe conveniente, potreste,penserei, procurerei...), degli
esortativi (veda, provi, scriva...), nei suggerimenti liberanti (se poteste, se
credete bene, se sapete, se desiderate, se non avete niente in contrario,
secondo che crederà conveniente), in forme di cortesia (mi pare possa andar
bene, mi rimetto a voi, voi potere meglio di me conoscere...). è attentissimo a rispettare il pensiero
e l’autonomia delle suore investite di autorità.
Ovviamente al momento della separazione giuridica delle Figlie di Maria
Ausiliatrice dai salesiani, che provocò estrema sofferenza soprattutto alle
suore, don Rua non fa che ribadire con forza la sua paternità spirituale: “State
tranquilla che non vi abbandoniamo: fate voi altre quello che potete per
isbrigarvi dei vostro affari; e quando siete incagliate, scrivete; e noi
procureremo sempre di aiutarvi”; “Io sarò sempre padre alle figlie di Maria
Ausiliatrice nel disimpegno nella loro missione”.
A tal fine don Rua fa brillare agli occhi delle sue corrispondenti l’alto
obiettivo della santità, che a suo giudizio - al seguito di don Bosco,
ma sulla scia di San Filippo Neri e di San Francesco di Sales - non consiste in
opere straordinarie ed eccezionali, ma nella fedeltà all’ordinario, ossia
nell’assolvere con esattezza i propri doveri. Un ideale di santità che si cala
nella trama quotidiana intessuta di piccole virtù ordinarie non in gesti eccezionali o fenomeni di
misticismo o estasi.
L’itinerario che conduce alla meta è già tracciato: basta imitare Cristo,
maestro e modello di tutte le virtù: umiltà, pazienza, povertà, pietà,
mansuetudine, rassegnazione, sacrificio, purezza di intenzioni. Vi si
aggiungano le virtù naturali buon uso del tempo, del lavoro, della temperanza,
della schiettezza con le superiore, della modestia nel tratto e nelle parole.
Va sottolineata la sua capacità di coinvolgimento con le suore che operano
sul campo, anche a grandi distanze. Sente con loro parla e opera con loro, è partecipe dei loro problemi e
del loro quotidiano faticare. Ciononostante è sobrio nelle sue espressioni,
misurato, non lascia eccessivo spazio al sentimento, come forse esse,
specialmente se giovani, avrebbero amato. Adotta un lessico familiare, diretto
ed “interessante” agli occhi della corrispondente già predisposta a
accoglierlo, anche se per noi routinario, in quanto sottoposto all’usura
comunicativa determinata dalla necessità di una continua ripetizione degli
stessi pensieri.
Don Rua, coinvolto in relazioni personali nella sua duplice identità di padre
amoroso e di superiore, riesce a tener bene integrati in sé, per così dire, gli
aspetti femminili e maschili. Si dimostra infatti materno, affabile con
la destinataria, la guarda con tenerezza, attenzione, fiducia, sente empatia
per lei, ha pazienza nell’attendere i tempi di crescita, nel rispetto della
natura femminile. Come padre e superiore però non può non usare una certa
fermezza. Chissà se da qualche parte aveva letto che la donna, quella del mondo,
come quella del chiostro ama che le si parli con autorità! Sentendosi in dovere
di mantenere e sviluppare il patrimonio educativo e spirituale ereditato da don
Bosco, richiama allora le suore ai doveri, comunica i valori, infonde speranza,
aiuta a guardare oltre le difficoltà, sollecita potenzialità e assunzione di
responsabilità. Le prepara così, senza saperlo, alla futura gestione in proprio dell’Istituto.
Del resto per le superiore non auspicava quella saggezza, quella dolcezza
e quella fermezza necessarie a far sante se stesse e le consorelle?
Forse è qui uno dei casi in cui è possibile applicare il proverbio orientale:
“i figli possono guardare lontano perché hanno le spalle dei padri su cui
salire”.
b. I cooperatori salesiani
Particolari sollecitudini don Rua
rivolse verso i cooperatori. In una stagione favorevole
all’associazionismo i cinque congressi -novità assoluta nella storia salesiana
- ad iniziare dal primo e più famoso, quello di Bologna del 1895, segnarono
una
svolta nella loro storia in quanto talune manifestazioni di massa divennero
momenti fondamentali e culminanti della storia salesiana.
Se don Bosco non aveva amato che le assemblee di persone possibilmente abbienti
a cui parlava per ottenere aiuti finanziari per le proprie opere, da esperto
amministratore li volle in sincero rapporto con le opere salesiane. I salesiani
avrebbero dovuto essere considerati i gestori, gli “amministratori delegati”
più che proprietari delle case, le quali erano invece dei cooperatori che le
finanziavano. Non per nulla le circolari del primo gennaio di ogni anno erano
il “rendiconto” di ciò che i salesiani e le figlie di Maria Ausiliatrice
avevano potuto fare nell’anno appena trascorso e la richiesta idea1e
d’approvazione di ciò, che essi progettavano per il nuovo anno in Italia, in
Europa, nelle missioni: nuove fondazioni, mantenimento e sviluppo delle opere
già esistenti, completamento di chiese e case in corso da anni, preparazione
del personale, spedizioni missionarie.
Immensi problemi economici, in tempi di scarsissima circolazione monetaria si
spesero cifre oggi classificabili in milioni di euro, tutti evidentemente
raccolti dalla beneficenza, suscitata da don Rua con decine di faticosi viaggi
per l’Italia e mezza Europa, con le sue circolari e tramite il Bollettino Salesiano,
pubblicato ai suoi tempi in nove lingue. L’appoggio finanziario dei cooperatori
salesiani e dei benefattori, nei non facili tempi dello scandalo del1a Banca Romana
dalle pesanti ripercussioni sul sistema economico e bancario italiano, gli ha
evitato la bancarotta. Nonostante tutto, un vero risanamento finanziario non
venne comunque mai attuato: i conti rimasero sempre in rosso, stante
l’impressionante ed incontrollabile sviluppo dell’Opera salesiana.
Conclusione
Succedere ad un grande, ad un
fuoriclasse e mantenere alto il livello di un’impresa o di una missione è
sempre un rischio. Il metodico e compito don Rua è stato all’altezza della
situazione, ha garantito nello stesso tempo la continuità e lo sviluppo della
società salesiana. Gliene va dato atto.
Da attento allievo di don Bosco, don Rua si è fatto apprezzato maestro, per
insegnare e sviluppare quello che aveva imparato:
“Ha fatto dell’esempio del Santo una scuola, della sua opera personale
un’istituzione estesa, si può dire su tutta la terra; della sua vita una
storia, della sua regola uno spirito, della sua santità un tipo, un modello, ha
fatto della sorgente una corrente, un fiume” (Paolo VI).