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Il Cuore misericordioso di Cristo

di Monsignor Enrico Dal Covolo

Monsignor Enrico Dal Covolo, salesiano, ha avuto il compito di predicare gli Esercizi Spirituali al Papa e ai vescovi della Curia. Le sue meditazioni hanno come tema la vocazione sacerdotale e sono state raccolte in un volume. Abbiamo estratto un brano che riguarda il Cuore misericordioso di Cristo e ve lo proponiamo.

"Chi è il più grande nel regno dei cieli?". Matteo 18,1

Gesù prende un bambino, e spiega che, se non si faran­no piccoli così, non entreranno nel Regno. Poi sposta il discorso sullo scandalo. Guai a voi, dice, se scandalizzerete una di queste persone semplici... E conclude con una breve parabola, quella del­la pecorella smarrita, riportata anche in Luca 15. Ma qui, in Matteo, la parabola della pecorella smarrita ha un senso un po' diverso: in Luca è la parabola di Dio misericordioso, padre del figlio prodigo, che lascia le novantanove pecore per cercare quella che si era perduta; in Matteo è piut­tosto la parabola di ogni cristiano, e soprattutto di ogni guida di comunità, che non possono mai "perdere di vista" le pecorelle più deboli. In Luca l'accento va tutto sulla misericordia di Dio; in Matteo, invece, l'accento va sull'impegno - sempre di Dio, ma anche dei pastori -, affinché nessuna pecorella vada perduta.

Che cosa significa tutto questo per noi?

Per non scandalizzare, per non perdere di vista la pecorella più debole, per essere "grandi in senso evangelico", pastori e comunità devono essere realmente "sbilanciati" dalla parte di chi ha più bisogno, capaci di condivisione fino al sacrificio supremo...
Pietro, si avvicina a Gesù, e gli chiede: "Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?". Ma Gesù gli risponde: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".
E subito racconta la parabola del re misericordioso e del servo spietato, concludendo in un modo estremamente impegnativo: infatti Gesù intende dire che il comportamento del discepolo - e in particolare di chi esercita un ruolo di guida nella comunità cristiana - deve essere simile al comportamento di Dio. Nel caso specifico del perdono, occorre perdonare con la stessa misura con cui Dio perdona a noi: vale a dire, senza misura.

Un insegnamento molto importante

Dovremmo applicare a noi e alle nostre comunità: quella "condivisione con il piccolo" e quell'"amore ricco di misericordia" - di cui parla­no le due parti del capitolo 18 di Matteo - restano dei valori irrinunciabili per la missione di ogni comunità cristiana e di tutti i pastori, chiamati a diventare "segno" profetico di solidarietà, pre­cisamente nella direzione indicata da Matteo: la linea dell'attenzione privilegiata al piccolo, e del perdono reciproco senza condizioni.
Conviene ribadirlo: per pascere il gregge secondo il cuore di Cristo, ogni pastore deve essere capace di perdonare sen­za misura, sbilanciandosi - all'interno e all'esterno della comunità - dalla parte di chi ha più bisogno. Anzi, il "sistema preventivo" dell'attenzione privilegiata ai piccoli deve iniziare all'interno stesso delle comunità. Solo se c'è questo "sbilanciamento interno" sarà credibile lo "sbilanciamento esterno" verso i più poveri.

E' grande colui che si fa piccolo

Ma non si rischia così di mortificare chi è più ricco di doti? Un comportamento di questo genere non rischia di "appiattire" le comunità cristiane?
Risponde D. Bonhoeffer, un pastore protestante che, per la sua statura morale, non esiterei a mettere a fianco di san M. Kolbe.
Il pastore Dietrich - uno dei protagonisti del famoso attentato contro Hitler - aveva meditato a lungo sul capi­tolo 18 di Matteo, prima di essere impiccato nel carcere di Flossenburg, e ha lasciato scritte alcune parole, che non dovremmo mai dimenticare. Eccole: "Ogni comunità cri­stiana deve sapere che non solo i deboli hanno bisogno dei forti, ma anche i forti non possono fa­re a meno dei deboli. L'esclusione dei deboli è la morte della comunità" (La vita comune, trad. it., Brescia 1969, pp. 143-144).
E' questo l'itinerario della croce e del servizio, quello perseguito da Gesù e da Maria fino al Calvario.
Chi è più grande? Più grande è colui che si fa piccolo; chi - per servire - da ricco si fa povero, e nulla considera un privilegio per sé.

 Per la preghiera e per la vita

Ogni chiamata, ogni risposta sono per la missione. Ma il "luogo" per comprendere fino in fondo la portata della missione è la croce del Golgota.
In particolare, l'itinerario della vocazione sacerdotale passa di lì.
Non è possibile la "circonvallazione del Calvario".
Pastori e comunità, infatti, sono mandati da Gesù per essere "segni della croce", cioè di perdono senza misura, sbilanciati dalla parte di chi ha più bisogno. Ma questo discorso può essere capito e attuato solo a partire dalla logica evangelica, che si manifesta precisamente nel "segno della cro­ce".
Così Maria capisce la portata della sua missione materna solo ai piedi della croce. In quel momento di estrema condivisione con il Figlio essa - illuminata dalle pa­role stesse di Gesù - scopre, e definitivamente accetta, la sua nuova maternità, dilatata ormai a raggio universale.
Anche noi sacerdoti - se ci metteremo insieme con Maria e con Giovanni ai piedi della croce di Gesù - troveremo la forza di convertirci, di aprirci generosamente al perdono, di servire gli ultimi.
Fedeli alla stessa logica della missione, le nostre comunità cristiane dovranno porsi alla ricerca di esempi concreti, di gesti significativi, di fatti emblematici, che ne scuotano il grigiore e l'affanno, e le rendano veramente sbilanciate verso la ricerca e l'ascolto dei lontani e dei non credenti: comunità attente a suscitare e a coltivare le grandi vocazioni cristiane, preparate a testimoniare la fede nell'immenso campo dei bisogni e delle realizzazioni sociali.