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Il Credo come preghiera quotidiana per l'Anno della Fede 2012-2013

(Dal discorso del papa a Regensburg: la ragionevolezza della fede)

Cari fratelli e sorelle! 

"Chi crede non è mai solo" è il motto di questi giorni. 
Lo vediamo qui realizzato. 
La fede ci riunisce e ci dona una festa. 
Ci dona la gioia in Dio, la gioia per la creazione e per lo stare insieme. 
Io so che in precedenza questa festa ha richiesto molta fatica e molto lavoro. 
...
Ci siamo riuniti per una festa della fede. 
Ora, però, emerge la domanda: Ma che cosa crediamo in realtà? 
Che cosa significa: credere? 
Può una tale cosa di fatto ancora esistere nel mondo moderno? 
Vedendo le grandi "Somme" di teologia redatte nel Medioevo o pensando alla quantità di libri scritti ogni giorno in favore o contro la fede, si è tentati di scoraggiarsi e di pensare che questo è tutto troppo complicato.

Alla fine, vedendo i singoli alberi, non si vede più il bosco. 


È vero: la visione della fede comprende cielo e terra; il passato, il presente, il futuro, l'eternità – e perciò non è mai esauribile.
E tuttavia, nel suo nucleo è molto semplice.
Il Signore, infatti, ne parla col Padre dicendo: "Hai voluto rivelarlo ai semplici – a coloro che sono capaci di vedere col cuore" (cfr Mt 11,25).La Chiesa, da parte sua, ci offre una piccola "Somma", nella quale tutto l'essenziale è espresso: è il cosiddetto "Credo degli Apostoli". Esso viene di solito suddiviso in dodici articoli – secondo il numero degli Apostoli – e parla di Dio, Creatore e Principio di tutte le cose, di Cristo e dell'opera della salvezza, fino alla risurrezione dei morti e alla vita eterna. Ma nella sua concezione di fondo, il Credo è composto solo di tre parti principali, e secondo la sua storia non è nient'altro che un'amplificazione della formula battesimale, che il Signore risorto consegnò ai discepoli per tutti i tempi quando disse loro: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). 


In questa visione si dimostrano due cose: la fede è semplice
Crediamo in Dio – in Dio, principio e fine della vita umana. In quel Dio che entra in relazione con noi esseri umani, che è per noi origine e futuro. 
Così la fede, contemporaneamente, è sempre anche speranza, è la certezza che noi abbiamo un futuro e non cadremo nel vuoto. 
E la fede è amore, perché l'amore di Dio vuole "contagiarci". 

Come seconda cosa possiamo costatare: il Credo non è un insieme di sentenze, non è una teoria.
È, appunto, ancorato all'evento del Battesimo – ad un evento d'incontro tra Dio e l'uomo. Dio, nel mistero del Battesimo, si china sull'uomo; ci viene incontro e in questo modo ci avvicina anche tra noi. 

Perché il Battesimo significa che Gesù Cristo, per così dire, ci adotta come suoi fratelli e sorelle, accogliendoci con ciò come figli nella famiglia di Dio stesso. In questo modo fa quindi di tutti noi una grande famiglia nella comunità universale della Chiesa. Sì, chi crede non è mai solo. Dio ci viene incontro. Incamminiamoci anche noi verso Dio e andiamo così gli uni incontro agli altri! Non lasciamo solo, per quanto sta nelle nostre forze, nessuno dei figli di Dio! 

Noi crediamo in Dio. 
Questa è la nostra decisione di fondo. 
Ma è possibile ancora oggi? 
È una cosa ragionevole? 

Fin dall'illuminismo, almeno una parte della scienza s'impegna con solerzia a cercare una spiegazione del mondo, in cui Dio diventi superfluo. E così Egli dovrebbe diventare inutile anche per la nostra vita. 

Ma ogniqualvolta poteva sembrare che ci si fosse quasi riusciti – sempre di nuovo appariva evidente: i conti non tornano! I conti sull'uomo, senza Dio,non tornano, e i conti sul mondo, su tutto il vasto universo, senza di Lui non tornano. In fin dei conti, resta l'alternativa: che cosa esiste all'origine? La Ragione creatrice, lo Spirito che opera tutto e suscita lo sviluppo, o l'Irrazionalità che, priva di ogni ragione, stranamente produce un cosmo ordinato in modo matematico e anche l'uomo, la sua ragione. 

Questa, però, sarebbe allora soltanto un risultato casuale dell'evoluzione e quindi, in fondo, anche una cosa irragionevole. Noi cristiani diciamo: "Credo in Dio Padre, Creatore del cielo e della terra" – credo nello Spirito Creatore. Noi crediamo che all'origine c'è il Verbo eterno, la Ragione e non l'Irrazionalità. Con questa fede non abbiamo bisogno di nasconderci, non dobbiamo temere di trovarci con essa in un vicolo cieco. Siamo lieti di poter conoscere Dio! E cerchiamo di dimostrare anche agli altri la ragionevolezza della fede, come san Pietro ci esorta a fare nella sua Prima Lettera (cfr 3,15)! 

Noi crediamo in Dio. 
Lo affermano le parti principali del Credo e lo sottolinea soprattutto la sua prima parte. Ma ora segue subito la seconda domanda: in quale Dio? Ebbene, crediamo appunto in quel Dio che è Spirito Creatore, Ragione creativa, da cui proviene tutto e da cui proveniamo anche noi. 

La seconda parte del Credo ci dice di più. 
Questa Ragione creativa è Bontà. 
È Amore. Essa possiede un volto. 
Dio non ci lascia brancolare nel buio. 

Si è mostrato come uomo. Egli è tanto grande da potersi permettere di diventare piccolissimo. “Chi ha visto me ha visto il Padre”, dice Gesù (Gv 14,9). Dio ha assunto un volto umano. Ci ama fino al punto da lasciarsi per noi inchiodare sulla Croce, per portare le sofferenze dell’umani­tà fino al cuore di Dio. Oggi, che conosciamo le patologie e le malattie mortali della religione e della ragione, le distruzioni dell’immagine di Dio a causa dell’odio e del fanatismo, è importante dire con chiarezza in quale Dio noi crediamo e professare convinti questo volto umano di Dio. Solo questo ci libera dalla paura di Dio – un sentimento dal quale, in definitiva, nacque l’ateismo moderno. Solo questo Dio ci salva dalla paura del mondo e dall’ansia di fronte al vuoto della propria esistenza. Solo guardando a Gesù Cristo, la nostra gioia in Dio raggiunge la sua pienezza, diventa gioia redenta. Volgiamo durante questa celebrazione solenne dell’Eucaristia il nostro sguardo sul Signore e chiediamo a Lui la grande gioia che Egli ha promesso ai suoi discepoli (cfr Gv 16,24)! 


La seconda parte del Credo si conclude con la prospettiva del Giudizio finale e la terza con quella della risurrezione dei morti. Giudizio – non è che con ciò ci viene inculcata nuovamente la paura? Ma, non desideriamo forse tutti che un giorno sia fatta giustizia per tutti i condannati ingiustamente, per quanti hanno sofferto lungo la vita e poi da una vita piena di dolore sono stati inghiottiti nella morte? Non vogliamo forse che l’eccesso di ingiustizia e di sofferenza, che vediamo nella storia, alla fine si dissolva; che tutti in definitiva possano diventare lieti, che tutto ottenga un senso? 

Questa affermazione del diritto, questo congiungimento di tanti frammenti di storia che sembrano privi di senso, così da integrarli in un tutto in cui dominino la verità e l’amore: è questo che s’intende col concetto di Giudizio del mondo. La fede non vuol farci paura; vuole piuttosto – e questo sicuramente – chiamarci alla responsabilità. Non dobbiamo sprecare la nostra vita, né abusare di essa; neppure dobbiamo tenerla per noi stessi; di fronte all’ingiusti­zia non dobbiamo restare indifferenti, diventandone conniventi o addirittura complici. Dobbiamo percepire la nostra missione nella storia e cercare di corrispondervi. Non paura ma responsabilità – responsabilità e preoccupazione per la nostra salvezza, e per la salvezza di tutto il mondo sono necessarie. Quando, però, responsabilità e preoccupazione tendono a diventare paura, allora ricordiamoci della parola di san Giovanni: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto” (1 Gv 2,1). “Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri – Dio è più grande del nostro cuore ed Egli conosce ogni cosa” (1 Gv 3,20).